L’Unrwa, cioè l’agenzia delle Nazioni Unite per il sussidio dei rifugiati palestinesi in Medio Oriente, l’altro giorno manifestava il proprio sconcerto a proposito della notizia – non smentita – secondo cui alcuni ostaggi israeliani sarebbero stati trattenuti in prigionia proprio nelle strutture dell’agenzia.

Anziché intestarsi almeno un pizzico di responsabilità dell’accaduto, quanto meno per il mancato controllo di quelle strutture ridotte a bivacchi dei tagliagole e a carceri delle loro vittime, il capo dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha avuto l’impudenza di dichiarare che ormai da più di un anno la sua agenzia “è stata costretta ad abbandonare tutte le sue installazioni… e da allora non ha più alcun controllo su di esse”. Probabilmente lo sventurato ha mancato di coordinarsi con i propri addetti alla comunicazione: i quali, il 3 gennaio di quest’anno, rivendicando l’insostituibilità dell’Unrwa e denunciando la tragedia imminente se essa dovesse cessare di operare, dichiaravano che “i nostri team gestiscono tutti i rifugi ONU”. Tutti tranne quelli usati da Hamas come bunker, evidentemente. Tranne quelli usati da Hamas come depositi di armi, pare. Tranne quelli usati da Hamas per tenere imprigionati gli ostaggi israeliani, appunto.

È in questo bel quadro di trasparenza e credibilità del carrozzone umanitario delle Nazioni Unite che dovranno essere tenute d’occhio, e giudicate, le iniziative della cosiddetta comunità internazionale e, in particolare, dei Paesi democratici con qualche voce in capitolo. Lasciando da parte Israele, che considera l’Unrwa un’organizzazione terroristica, una posizione eminente è – per forza di cose – occupata dagli Stati Uniti. Nei giorni scorsi hanno avuto qualche risonanza possibili iniziative di intervento della nuova amministrazione, rivolte in particolare a tagliare i fondi destinati alle agenzie dell’Onu, tra le quali l’Unrwa.

In realtà la questione è più complessa, perché già durante la precedente amministrazione erano state approvate norme di congelamento o limitative della destinazione dei fondi alla cooperazione apprestata da quelle agenzie di dubbia affidabilità. Gli ordini esecutivi che Donald Trump avrebbe alla firma in queste ore, in realtà, interverrebbero su un terreno regolatorio già acquisito da mesi, che affidava rispettivamente al Presidente e al Sottosegretario di Stato notevoli poteri di apertura o chiusura dei rubinetti in favore non solo delle agenzie dell’Onu, ma anche della stessa Autorità Nazionale Palestinese.

Non si tratta, peraltro, unicamente di soldi. I miliardi che pervengono a Gaza e nella West Bank per il tramite delle agenzie delle Nazioni Unite – adoperati quanto meno per il mantenimento di un vasto assetto parassitario, quando non distratti impunitamente verso il recipiente terrorista – giocano evidentemente un ruolo primario nelle rivendicazioni di insostituibilità di quel presidio monopolistico. Ma c’è anche altro a motivare la pervicacia dell’Unrwa nel voler mantenerne la propria grinfia sulla regione. C’è la pretesa di agirvi in un ruolo di attivo protagonismo sociale e politico contro l’“ingiusta” presenza israeliana. È, in doppio petto e incravattata, la pretesa di Hamas.