"Lo Stato non mi ha mai riconosciuto nessun aiuto nemmeno come disabile"
Valentina Pitzalis, la donna con la mano bionica scampata al femminicidio: “Ora mi sento forte come Wonder Woman”

“È una giornata fantastica. Se sono arrivata fino a qui è grazie a tutte le persone, e sono tante, che da dieci anni mi aiutano”. Così Valentina Pitzalis ringrazia tutte le persone che hanno reso possibile questo miracolo tecnologico. Oggi Valentina ha una nuova mano bionica, tutta sua. A realizzarla la Nexus, su un progetto inglese e applicata per la prima volta in Italia presso l’Officina Ortopedica Maria Adelaide di Torino, leader nazionale del settore protesi.
“La tecnologia di Nexus segna un passaggio epocale rispetto alle protesi precedenti – ha spiegato il direttore dell’Officina, Roberto Ariagno – si applica facilmente, è personalizzata e si articola leggendo, tramite sensori, i movimenti muscolari dell’avambraccio”. La mano si inserisce come un guanto, senza ha la necessità di un intervento chirurgico.
Storia di violenza e coraggio Nel 2011 il marito le diede fuoco tentando di ucciderla e morendo carbonizzato nel rogo. Le fiamme, la violenza lasciarono i segni sul viso e la privarono di una mano e di parte del braccio sinistro. Un gesto atroce, 10 anni e 32 interventi che però non hanno mai tolto la voglia di vivere a Valentina Pitzalis, simbolo della lotta alla violenza contro le donne.
“Sono qui per dire a tutte le donne che con la forza e il coraggio ce la possiamo fare a cambiare il mondo e noi stesse, perché nulla del genere accada più a nessuna”, ha detto Valentina Pitzalis, da anni impegnata nelle scuole italiane per sensibilizzare i ragazzi sul tema della violenza sulle donne. “È importante che le donne non siano mai lasciate sole. Se qualcuno mi avesse spiegato certe cose prima, forse non sarei mai arrivata a patire tutto questo”.
La vita di Valentina Pitzalis era cambiata il 17 aprile del 2011, quando il marito, Manuel Piredda, la ricoprì di benzina e le diede fuoco, nella casa di lui a Bacu Abis, nel Sud Sardegna. Lui morì nel rogo, lei sopravvisse, pagando un prezzo altissimo: perse una mano, l’altra fu irrimediabilmente compromessa, il volto sfigurato per sempre. Ci fu poi una coda giudiziaria incredibile, dopo che la famiglia di lui presentò un esposto che accusava Valentina di omicidio volontario, istigazione al suicidio e incendio doloso: inchiesta chiusa con l’archiviazione.
“Ci sono ancora tanti leoni da tastiera, sui social, e quelli credo che continueranno a tormentarmi. Del resto esiste quella che si chiama vittimizzazione secondaria: sono sopravvissuta e non ho rinunciato a vivere, dunque sono colpevole”, prosegue. Ci sono, però, anche tante persone che l’hanno aiutata fin dal primo momento.
“La protesi l’ho pagata grazie a una raccolta fondi della Fondazione Doppia Difesa fatta nel 2012. La Asl sarda ha coperto un’altra parte. L’Officina Ortopedica ha fatto il suo. E poi ho sempre accanto a me l’associazione Fare X Bene (farexbene.it ), che mi accompagna dalla fase processuale. Come vittima scampata a un femminicidio lo Stato non mi ha mai riconosciuto nessun aiuto. Come persona con disabilità, nemmeno: il tabellario per le protesi è fermo al 1999, senza un supporto esterno non avrei mai potuto pagare i 40 mila euro per la mano nuova. In Grecia una protesi del genere è totalmente a carico del sistema sanitario nazionale”.
Neppure per gli interventi di chirurgia di ricostruzione si è sentita sostenuta. “Moltissimi vengono considerati come estetici. Eppure per un incidente sul lavoro gli aiuti ci sono. Ora, non posso storcere il naso per questa valutazione, perché il naso non ce l’ho più…”, riflette con un po’ di amarezza. “Però posso dire di essere diventata davvero Wonder Woman, adesso. E questo mi fa sentire ancora più forte”.
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