«Non bisogna concentrare gli eventi culturali solo in alcune zone della città ma anche in quelle zone che chiamiamo “periferiche” e dove ancora c’è degrado e abbandono. E poi occorre valorizzare non solo i complessi museali ma anche e soprattutto i territori nei quali sorgono». A parlare è Leonardo Di Mauro, presidente dell’Ordine degli architetti di Napoli e Provincia.

Presidente, lei ha firmato insieme ai suoi colleghi un documento con le proposte da sottoporre al sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. Com’è articolato il documento?
«Le nostre proposte riguardano diversi ambiti: il grave disavanzo economico di circa tre miliardi di euro accumulatosi nell’ultimo decennio, la macchina amministrativa depauperata della risorsa umana di dipendenti e mezzi, il decentramento amministrativo mai compiuto tra Comune e Municipalità, la necessità di allineare piani e progetti alle misure, agli investimenti e alle riforme del PNRR, il ruolo di Napoli come capitale euromediterranea, l’esigenza di invertire l’attuale tendenza alla densificazione urbana della fascia costiera e desertificazione della gran parte della Campania, l’urgenza di contrastare la dittatura armata della criminalità organizzata sul territorio».

Della necessità di attuare il decentramento amministrativo si parla da anni, come dovrebbe essere riorganizzato il territorio?
«Si deve generare in primo luogo una congruente corrispondenza tra ambiti territoriali omogenei e perimetri amministrativi. Le attuali 10 Municipalità potrebbero essere articolate in relazione ai quattro principali sistemi che caratterizzano Napoli: 1) la città stratificata; 2) le città crateri occidentali; 3) la città orientale della piana alluvionale del Sebeto, del Volla, del fosso reale e dei torrenti provenienti dalle pendici del Vesuvio; 4) la città settentrionale, dal rilevato dei Camaldoli a quello di Capodichino, oppure, quantomeno, essere coordinate nelle scelte di pianificazione e trasformazione urbana da specifici uffici tecnici e manager territoriali. Analogamente per la Città Metropolitana i 92 Comuni dovrebbero tradursi in un’architettura amministrativa articolata in Comprensori – aree omogenee che rispecchiano le vocazioni ambientali-paesaggistiche: 1) penisola sorrentina, 2) Vesuvio, 3) piana nolana».

Un altro tema cruciale è quello che vede da un lato la desertificazione e dall’altro la densificazione urbana. Uno squilibrio tra le due tendenze ben visibile nel nostro territorio.
«Sì. L’esigenza di invertire l’attuale tendenza alla densificazione urbana della fascia costiera e della desertificazione della gran parte della Campania: entra in ballo con i problemi del ridisegno della forma della città. Dal dopoguerra in poi l’ambiente in cui viviamo è stato sfregiato, non si può continuare a costruire, occupare suolo con cemento, ci sono tante di quelle strutture dismesse che non avrebbe senso. Demolirle o trovarvi una nuova funzione per la comunità avrebbe più senso. Dall’altro lato evitare che le zone interne della Campania si spopolino ancora. Ci sono molte aree della provincia di Napoli ad altissima densità abitativa e altre della Regione che sono praticamente deserte. C’è uno sbilanciamento nell’uso del territorio che è molto grave. Bisogna trovare il modo di evitare queste due tendenze. Senz’altro per farlo bisogna rivalutare le zone interne della Regione».

In che modo andrebbero valorizzate le aree interne?
«Innanzitutto valorizzando la dimensione agricola e il patrimonio delle attività lavorative legate al mondo agricolo. Tanta parte di paesaggio al Nord, nelle Langhe per esempio, viene tutelato ed è legato a delle produzioni particolari che generano ricchezza. Basti pensare alla produzione del prosecco in Veneto. Dovremmo fare lo stesso ed entrare nell’ottica che le produzioni agricole di qualità generano entrate e fanno girare l’economia. Bisogna, quindi, rivalutare ciò che il territorio naturalmente offre. Bisogna poi valorizzare le specificità dei luoghi, penso per esempio ai piccoli centri storici. È evidente che in questo caso ci sono stati degli errori».

A cosa si riferisce?
«Il ministero dei Beni Culturali sta valorizzando i musei più grandi, ma sta dimenticando il territorio. Prima c’era un legame molto stretto tra le soprintendenze che avevano il compito di tutelare il museo e il territorio, nel momento in cui si è pensato a valorizzare alcune eccellenze che erano già delle eccellenze, si è tralasciato l’ambiente circostante. A Napoli, ci sono delle chiese chiuse abbandonate da anni, dimenticate dalla dimensione turistica; Oggi sono dei luoghi storicamente molto importanti che non sono conosciuti nè dai turisti nè dai napoletani. Questa tendenza a trascurare il territorio è presente nelle zone più importanti della città, non è facile immaginare che nelle zone interne della Campania ci siano molte più costruzioni di interesse storico e artistico abbandonate e sconosciute. Il turista che arriva a Pompei o a Paestum deve sapere che esistono anche i Campi Flegrei per esempio, le cattedrali nell’alto casertano o l’arco di Traiano di Benevento. C’è la necessità, quindi, di recuperare il costruito e utilizzarlo a fini turistici e di non sprecare il suolo costruendo ancora. Bisogna valorizzare le cose che abbiamo e per farlo bisogna prima conoscerle bene».

Resta sempre il nodo irrisolto di Bagnoli.
«Sì, quel luogo sconta trent’anni di immobilismo. Ci sono decine di progetti, ma ancora tutti fermi. Bagnoli per la sua natura, dovrebbe avere molti spazi verdi, bisognerebbe recuperare la spiaggia e farlo diventare un luogo dedicato al tempo libero. Bisognerebbe anche valorizzare il patrimonio di archeologia industriale presente e recuperare la dimensione termale. A Napoli il verde è quello lasciato in eredità dai Borboni, certo sono stati realizzati dei parchi come il grade parco delle collline a Nord delle colline, ma non sono paragonabili a quelli che avremmo potuto avere se non ci fosse stata una così ampia speculazione edilizia».

E poi c’è tutta la questione dei trasporti e dei collegamenti tra i vari luoghi culturali della città. Lei cosa ne pensa?
«Per esempio ora c’è in animo di riqualificare l’Albergo dei Poveri, se collegato all’Orto Botanico, a ridosso dell’Osservatorio astronomico, a poca distanza da Capodimonte con una piccola funicolare, creerebbe un’enorme area turisticamente importante. Lo stesso discorso si deve fare per Piazza Mercato, bisogna abbandonare l’idea di concentrare gli eventi culturali solo nel salotto buono della città (Piazza del Plebiscito). Bisognerebbe iniziare a fare concerti ed eventi anche lì che è una piazza storica e questo contribuirebbe a far sparire il degrado che c’è in quella zona».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.