Dire che i pestaggi nelle carceri costituiscono la regola sarebbe statisticamente inesatto solo perché, forse, quella violenza non si registra proprio tutti i giorni e in tutte le carceri: ma rappresentano un fatto notorio e tutt’altro che raro, che non bisognerebbe considerare meno grave soltanto perché il personale a guardia delle prigioni non è fatto tutto di picchiatori (ci mancherebbe pure, e ci mancherebbe che proprio ogni detenuto fosse destinatario di quell’abuso).

È esattamente quel che succede in guerra, quando la truppa si abbandona al saccheggio e allo stupro. Ovviamente non succede in ogni campagna militare e ovviamente, quando succede, non ne è responsabile ogni soldato. Ma sanno tutti che se non è la regola è comunque un fatto frequente, e questa violenza condivide con l’altra – quella che ricorre nelle carceri – una buona somma di caratteristiche: si rivolge contro gli indifesi, si esercita al riparo da qualsiasi controllo inquirente e, soprattutto, avviene sotto il comando di chi magari non la istiga ma certamente la conosce e la lascia correre.

Spiace doverlo denunciare ma, davanti a una realtà che conoscono tutti, alcuni hanno più responsabilità di altri: e chi, se non quelli che per ufficio – accusando, giudicando – affidano le persone a quel dispositivo di risaputa violenza? Ovviamente non si vuol dire che chi stende una richiesta di arresto o una sentenza di condanna deve per ciò solo rispondere se il destinatario di quel provvedimento è poi preso a bastonate. E nemmeno chi amministra le carceri può essere ritenuto responsabile, per il sol fatto di ricoprire quel ruolo, degli abusi eventualmente commessi da questo o quell’aguzzino in divisa. Ma gli uni e gli altri – magistrati e amministratori – non possono far finta di non sapere ciò che tutti sanno perfettamente: e cioè che in quei luoghi di pena è, se non normale, almeno assai frequente che i detenuti siano sottoposti a quel regime selvaggiamente sopraffattorio.

Non dovrebbero, né gli uni né gli altri, sopportare oltre di essere elementi decisivi di un sistema che per norma accetta quell’illegalità ricorrente. Perché di questo infine si tratta: di una realtà davanti alla quale allarghiamo le braccia, perché si sa che è così e buonanotte. Con questo di peggio: che per un caso fuoriuscito dal buio in cui quasi sempre quella violenza è perpetrata, mille e mille ce ne sono di cui nessuno si occupa perché un detenuto massacrato di botte non è una notizia ma un’ordinaria proprietà del nostro sistema carcerario. Una cosa di cui non si parla e che non fa vergogna non perché non c’è: ma perché non importa.