“Ezio ha crisi epilettiche anche due volte al giorno a distanza ravvicinata. Sta rinchiuso in una cella strettissima e lì dentro è tutto di ferro, solo lo sgabello è di legno. È pieno di spigoli, lui ha le crisi e sbatte ovunque anche con la testa. È pieno di ferite, più passa il tempo, più è lontano dalla sua famiglia, più sta peggio”. Sono questi gli angosciosissimi pensieri che Carmela Stefanoni, mamma di Ezio Prinno, 45 anni, si porta nel cuore. Suo figlio è detenuto nel carcere di Opera a Milano. Carmela ha raccontato più volte al Riformista che i medici hanno più volte affermato che il suo stato di salute non è compatibile con il regime carcerario: da quando aveva 14 anni soffre di crisi epilettiche che diventano sempre più frequenti in situazioni di disagio e stress.

Ora gli hanno diagnosticato anche una “lesione emorragica subacuta o una lesione metastatica emorragica o da melanoma”, come si legge nel referto del medico. Una diagnosi che però va approfondita con altri esami. “Voglio sapere cosa gli è successo – dice la mamma – Noi della famiglia sappiamo cosa fare quando gli vengono le crisi ma continuano a non mandarlo ai domiciliari o almeno più vicino a noi in modo che possiamo andare a trovarlo. Noi da Napoli non riusciamo ad andare da lui a Milano. Ma con la famiglia intorno sta meglio”.

Ezio è detenuto dal 2010. In poche brevi occasioni ha avuto il permesso di potersi avvicinare a casa e risiedere nel carcere di Bellizzi. “Stava tanto meglio – dice Carmela – vedeva la sua famiglia una volta a settimana e le crisi epilettiche erano diminuite drasticamente”. Deve scontare ancora una pena di 4 anni, ma per lui il carcere è diventato un vero e proprio calvario iniziato tanti anni fa.

Già nel 2018 il suo avvocato, Gianpiero Verrengia, aveva denunciato lo stato in cui era costretto a vivere Ezio. “La cosa incredibile è che in questi anni nessuno si è adoperato per cambiare la sua situazione, a rendere i luoghi conformi ad Ezio, fare del carcere un luogo sicuro per lui – ha detto l’avvocato, raggiunto al telefono dal Riformista – In carcere il casco in testa che porta sempre non dovrebbe averlo. E il casco è la prova che per lui il carcere non è un posto sicuro. Tra l’altro non è idoneo perché è di spugna”.

Nella premessa dell’istanza del 2018 l’avvocato aveva invitato il magistrato a valutare lo spazio vitale in cui doveva stare Ezio, ricordando che “uno spazio vitale inferiore ai 3 mq netti costituisce forte presunzione di trattamento inumano soprattutto considerando che il Comitato per la Prevenzione della Tortura e delle pene o Trattamenti Inumani o degradanti, ha da tempo individuato in 7 metri quadrati per detenuto ‘la superficie minima auspicabile per una cella detentiva’”.

Dunque dall’analisi fatta dall’avvocato risulta che Ezio in cella ha a disposizione, al netto dei mobili, “circa 1,8 mq di spazio vitale. Nel caso Prinno optasse per vivere in bagno, rendendo il bagno luogo dove svolgere ogni attività quotidiana (cosa disumana, anche viste le condizioni del bagno) egli avrebbe allora a disposizione circa 2,7 mq”. E ancora: “l’assistito riferisce che è molto difficile muoversi essendoci solo 70 cm per passare”, “essendo costretto a deambulare in carrozzina”. E ancora: “soffre la ‘fame d’aria’ e la “rete metallica esterna alla finestra è molto fitta”. E questo non fa altro che peggiorare il suo stato.

In passato Ezio per le sue condizioni di salute è stato dichiarato incompatibile con il regime carcerario. “I ridottissimi spazi in cui Prinno è costretto a vivere, già insopportabili per un individuo sano, accentuano l’afflittività della pena, fino a renderla trattamento sicuramente inumano e degradante, considerando le molteplici e gravi patologie di cui soffre l’assistito”. Il documento racconta anche di momenti in cui Ezio si è sentito preso in giro o a disagio per quella sua condizione, per le sue crisi, durante le quali perde il controllo di sé, per le ferite riportate e per il caschetto che è costretto a indossare che in qualche modo cerca di renderlo “idoneo ai luoghi che vive” e non viceversa. Ezio dovrebbe essere collocato in una cella priva di spigoli.

E già nel 2018 l’avvocato scriveva: “Se fossero state rispettate le indicazioni mediche Prinno avrebbe sicuramente avuto un aspetto più presentabile, molte cicatrici e molte fratture in meno. Se fossero state rispettate le indicazioni mediche Prinno avrebbe probabilmente avuto molte meno crisi comiziali con meno rischi per la salute e probabilmente qualche anno in più da vivere per il suo cervello, prima che per il corpo”. Ora altri anni sono passati, e la sua situazione peggiora ma a casa non può andare, nemmeno più vicino a casa, nonostante le numerose richieste fatte dai familiari e nonostante i reati per cui sta scontando la pena risalgano a molti anni fa.

Ora a questo scenario si aggiunge anche la notizia delle lesioni che certamente pesano su una persona già da anni in sofferenza. E la riflessione dell’avvocato Verrengia è amara: “Come uscirà Ezio dal carcere? Come farà a dire che lì è stato rieducato?”. E intanto mamma Carmela e tutta la sua numerosa famiglia aspettano in ansia di avere sue notizie.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.