«L’Europa deve cambiare marcia». Ci piace pensare che il discorso della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, al World Economic Forum di Davos sia stato ispirato anche da quanto detto da Trump lunedì in Campidoglio. Dove l’Europa non è mai stata nominata. Ci piace pensarlo, ma sappiamo che non è così. La leader Ue è arrivata in Svizzera cercando di convincere il gotha della finanza mondiale che Bruxelles sa bene quale sia la sua posizione nel mondo.

I problemi a monte e a valle

«L’ordine mondiale cooperativo che abbiamo immaginato 25 anni fa non si è trasformato in realtà. Al contrario, siamo entrati in una nuova era di dura competizione geostrategica». È corretto. Ma dall’analisi mancano un pezzo a monte e uno a valle. Di questa trasformazione, l’Europa non è artefice. Problema a monte. Perché ha perso posizioni nella storia e, peggio ancora, perché non è più in grado di indicare nuove tendenze. Problema a valle. A confermarlo è la sua economia, per troppo tempo «sotto ricatto di Putin», ammette von der Leyen, e oggi alla ricerca di nuove fonti energetiche. Energia pulita di prossima generazione, come la fusione, la geotermia potenziata e le batterie allo stato solido. Soluzioni giuste e necessarie, quelle della leader Ue. Che però si dimentica di citare un intervento altrettanto necessario e urgente. Le imprese di tutta Europa – Confindustria in Italia se ne è fatta carico – reclamano un prezzo unico dell’energia. Un mercato integrato, di dimensione continentale, che sia collettore di scelte competitive tra le forniture a disposizione delle attività produttive.

Le vittorie dell’Europa industrializzata

Un mercato unico come quello dei capitali – questo sì citato da von der Leyen – che faccia rimettere in circolo i 1.400 miliardi di euro, di cui 300 investiti all’estero, delle famiglie europee. Un “tesorone” prezioso per il rilancio della nostra industria manifatturiera. Proprio quel settore che Trump vuole rilanciare e che la nuova Commissione a Bruxelles si sta lentamente convincendo che è ancora la colonna portante non solo della nostra economia, ma anche dei nostri valori. Diritti, Stato sociale e benessere diffuso sono le vittorie ottenute dall’Europa industrializzata tra Ottocento e Novecento. «Saremo pragmatici, ma rimarremo sempre fedeli ai nostri princìpi». Corretto. Questo però significa puntare su quelle filiere che il mercato globale ancora ci stima. Stiamo perdendo l’auto. L’acciaio non se la passa bene. Per fortuna non tutto è perduto. Meccanica di precisione e macchine utensili, agricoltura avanzata e aerospazio possono generare ancora sviluppo e creare nuovi posti di lavoro. Il Make Europe Great Again, per dirla alla Musk, deve viaggiare su questi binari.

Quattro mesi dopo il Piano Draghi

Mentre sulla consapevolezza la Ue sta facendo dei progressi, sul tempo bisogna assolutamente accelerare. Sono passati oltre 4 mesi dalla presentazione del Piano Draghi, che von der Leyen non si è risparmiata di citare nemmeno ieri al Wef. Tra i ritardi nella composizione della Commissione e altre priorità in agenda, nessuna di quelle indicazioni ha fatto ancora un passo avanti. Eppure la Cina corre. E presto correrà ancora di più l’America. «Nessuna altra economia nel mondo è integrata con noi quanto quella degli Stati Uniti». Anche questo è vero. Attenzione però a dare per scontato che quegli 1,5 trilioni di euro di scambi commerciali tra le due sponde dell’Atlantico facciano da scudo a una qualsiasi mossa imprevedibile di Washington. Trump è un uomo d’affari. E come tale può non metterli in discussione, quanto fiutare altre linee di business e così lasciarci impantanati a definire il nostro futuro. A fine mese Bruxelles presenterà il Clean Industrial Deal. Mentre il Green Deal americano è sul viale del tramonto, Ursula non ha ancora chiarito quale sia in concreto la nostra nuova politica industriale che ci permetta di imporci in questa globalizzazione conflittuale e non di subirla.