Il ritorno in pompa magna
Inauguration Day, nel turning point della nostra storia ecco di nuovo Trump

Per capire la differenza tra il vecchio e il nuovo mondo americano basta pensare al primo “Inauguration Day” di Donald Trump il 20 gennaio 2016. Era il vincitore più detestato cui tutta la sinistra dem del mondo non concedeva legittimità. Oggi Trump non è soltanto la legittimità fatta persona, ma è legittimità che legittima gli altri, nazioni e leader. I giornali democratici come il New York Times scrissero che l’inaugurazione del 2016 era stata un flop e Trump si infuriò perché disse che una foto di sedie vuote era manipolata.
L’Inauguration del secondo Donald Trump, dopo nove anni, è già oggi il più grande evento planetario mondano mediatico e probabilmente storico del nuovo millennio. La festa trionfale con cui gli Stati Uniti incoroneranno questo presidente non ha precedenti, perché l’antica tradizione che imponeva una cerimonia sobria focalizzata sul discorso inaugurale del nuovo sovrano e sul mesto commiato del vecchio presidente è spazzata via sia come stile che come significato. È qualcosa di simile al passaggio dalla Roma repubblicana all’Impero. Resta in campo una grande Bibbia per garantire che i giuramenti del presidente e del suo vice siano benedetti. E poi il sipario.
Stavolta avremo non una cerimonia ma un evento cyber-pirotecnico nel corso del quale la Silicon Valley porterà i suoi effetti speciali in competizione con i giocattoli di Elon Musk, ex enfant prodige del mondo Dem e ora additato come il Rasputin di Trump. Stavolta gli inviti sono certificati di gradimento o appartenenza.
Trump ha invitato certamente Giorgia Meloni, la sua darling europea, ma ha invitato anche il presidente cinese, l’avversario e quasi nemico Xi Jinping, che manderà un suo alto rappresentante. Chi non andrà con clamore e rancore sarà Michelle Obama, ex First Lady di Barack, che ha fatto della sua assenza la più visibile presenza della cerimonia. Michelle ha fatto sapere di non voler avvicinarsi all’orrendo individuo che sta portando alla rovina l’universo dem in cui avrebbe meritato la nomination democratica. Ed ecco svelata un’altra ipocrisia: ai funerali del presidente Jimmy Carter sono andati tutti gli ex presidenti con le loro First Lady e l’unico scapolo era Barack Obama, che per compensare l’ostilità di Michelle verso Trump si è prodotto in teatrino di sorrisi e pacche sulle spalle con Donald Trump – felicissimo di incassare da un nemico come Obama il certificato di uomo di pace che dimentica i rancori. E così ha risposto anche ai giornalisti che gli chiedevano che cosa ci fosse dietro questa imprevista cordialità fra lui e Obama. E Trump ha risposto alla domanda di un giornalista con espressione trionfante: “Non dovete fidarvi di ciò che vi fanno vedere perché quel che conta è il dietro le quinte. Dietro le quinte io e Obama siamo molto simili, salvo qualche dettaglio di filosofia personale”.
Abbiamo dunque assistito ad un fenomeno che pur essendo eccezionale anche in America, soltanto in America poteva accadere: l’ascesa contrastata, lo spasimo di un uomo che è riuscito a far cambiare idea alla maggior parte dei suoi concittadini ma più che altro di aver imposto uno stile che è pieno di atti di bullismo e di disprezzo, in un contesto in cui era sempre imputato in una miriade di processi, entrando e uscendo dalle aule di tribunale. Anche se non si può dire che il brutto anatroccolo sia diventato un cigno, è sicuro che l’impresa di Trump è stata gigantesca non solo perché ha vinto le elezioni ma perché ha convinto – se volete ipnotizzato – portando il mondo politico e anche la società civile ad accettarlo e an zi venerarlo. Trump non è il rappresentante dei ricchi, i quali avevano il loro tempio nel Grand Old Party, ma ha giocato la pericolosa carta dell’immigrazione tirando dalla sua parte gli immigrati regolari, perlopiù messicani e latinos, che vedono come il fumo negli occhi gli immigrati illegali che premono le porte della frontiera. Anche la Harris verso la fine della sua fallita campagna elettorale aveva capito che quello era il punto entrale su cui giocarsi la partita: garantire i garantiti e allontanare gli illegali. Un fenomeno assolutamente canonico e certificato in ogni paese in cui ci sia una forte corrente migratoria, perché i più drastici avversari dei nuovi migranti sono i vecchi migranti.
Ha poi promosso politicamente oltre che socialmente i repubblicani dal nome e cognome latino, tutti di origine cubana. Come Marco Rubio, chiamato a Washington dalla Florida, dove un governatore di origine italiana come Ron De Santis, che il 12 novembre scorso è stato ricevuto da Giorgia Meloni a Palazzo Chigi con tutti gli onori, dimostrando che esiste un crescente saldatura tra il presidente del consiglio italiano e i repubblicani della Florida – parte integrante del gruppo di comando selezionato da Donald Trump.
Fra gli ospiti invitati che non potranno venire alla cerimonia c’è l’ex presidente del Brasile Bolsonaro, che è agli arresti domiciliari e senza passaporto: il presidente uscente Joe Biden insieme alla moglie Jill camminerà al fianco di Donald Trump e di Melania dopo una preghiera al Saint John’s Episcopal Church di Washington. Anche il vicepresidente JD Vance e sua moglie faranno parte del gruppo che camminerà fino a Capitol Hill, dove si svolse la manifestazione riottosa del 6 gennaio quando Donald Trump resistette molto oltre il decente alla notizia della sua sconfitta per il secondo mandato. Nel 2021 lo stesso Donald Trump aveva infranto per la prima e unica volta in un secolo e mezzo questa “parade” dei due presidenti, l’uscente il vincente, dei due vice presidenti e dei loro coniugi. Oggi Trump rattoppa i suoi stessi strappi ripetendo i gesti rituali della tradizione. Il significato politico sta nel fatto che Trump oggi può riciclare ciò che lui stesso aveva sfondato, calpestate e deriso, confermando con la più alta dose di sfacciataggine sia l’antica tradizione che i nuovi cerimoniali e stili sui quali l’America ha acconsentito con crescente entusiasmo di seguirlo.
Trump finora ha dimostrato che l’organismo di cui è fatta l’America è estremamente vulnerabile ma altrettanto vitale da rigenerarsi. Si tratta dunque di una riconferma del solo principio che regge la figura del presidente americano: il suo diritto a muoversi con sovrano capriccio, come ha fatto ieri Trump annunciando che sulla questione del social TikTok sarà lui a decidere se imporre alla Cina la vendita del social affinché possa essere usato in America. Ma la vera notizia non sta solo nella decisione di avocare a sé la sentenza, ma di “averne parlato stamattina con Xi Jinping”. Con molta soddisfazione ha detto: “Abbiamo avuto un ottimo colloquio su TikTok e su molte altre cose”. Ha dato l’annuncio che Xi Jinping ha scelto di mandare alla cerimonia di insediamento il vicepresidente cinese Han Zheng, un più autorevole fautore del dialogo con gli americani.
Anche l’attivismo frenetico di Trump prima di entrare alla Casa Bianca è una novità assoluta, perché i suoi predecessori avevano sempre rispettato in modo sacrale il principio secondo cui l’America ha un presidente per volta e fino all’ultimo giorno del suo mandato. Trump ha letteralmente annichilito Joe Biden, pilotando anche la diplomazia verso il Medio Oriente che ha portato all’ipotesi di tregua per Gaza. La Corte Suprema aveva deciso per la messa al bando, ma prima ancora di essere insediato Trump ha chiarito che intende agire da solo, anche contro il parere della Corte Suprema che, peraltro è nei numeri a lui favorevole.
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