Cosa c'è nel rapporto Cei
Abusi nella Chiesa, il deludente primo rapporto Cei: “Segnalazioni su 89 vittime”, ma solo nel biennio 2020-21

Si chiama “Proteggere, prevenire, formare” ed è il rapporto della Cei, la Conferenza episcopale italiana, che dovrebbe costituire la prima parte di una indagine indipendente commissionata dalla Chiesa italiana sugli abusi sessuali commessi al proprio interno.
Una scelta annunciata a maggio scorso dal presidente della Cei Matteo Zuppi per iniziare finalmente a discutere anche nel nostro Paese degli abusi commessi dal clero, anche per dare una risposta a quanto fatto in diverse Chiese del mondo che si sono già mosse in questa direzione, come nel caso francese.
Il rapporto è stato presentato questa mattina a Roma, divulgato alla vigilia della Giornata nazionale di preghiera della Chiesa italiana per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, che si celebra il 18 novembre.
Un documento di quaranta pagine redatte da esperti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che in realtà ha fatto storcere il naso: il rapporto presentato oggi considera solo alcuni casi segnalati alla Chiesa stessa avvenuti fra 2020 e 2021, al contrario di quanto promesso dalla stessa Cei, che aveva annunciato un rapporto sull’ultimo ventennio. Dunque un report decisamente meno “profondo” temporalmente rispetto a quello commissionato dalla Chiesa francese.
Ma anche il piccolo rapporto presentato oggi presenta lacune importanti, anche dal punto di vista meramente statistico: gran parte del suo contenuto, praticamente 35 pagine su 40, è infatti dedicato a presentare le attività svolte dalla Chiesa, che non a caso evidenzia nella sua introduzione la volontà di “illustrare la realtà delle buone pratiche sviluppate dalla Chiesa in Italia per prevenire e contrastare gli abusi”.
Proprio a quest’ultimi viene dedicato uno spazio minore, affrontati tra l’altro solo in relazione al biennio 2020-2021, senza spiegare perché vengano esclusi gli anni precedenti. Ma anche altri numeri presenti nel rapporto rivelano dettagli interessanti: è il caso dei Centri di ascolto, attivati nel 70,8% delle diocesi, ma con segnalazioni di abusi che riguardano solo 80 di questi, attivati di recente, quasi tutti a partire dal 2019.
C’è quindi la questione delle diocesi prese in esame, come sottolinea su Il Domani Stefano Feltri. Sono 226 in Italia, ma l’analisi del report ne riguarda 166 a rispondere sono state 158. Nei due anni a cui fa riferimento il rapporto Cei, il numero di persone che si sono rivolte a uno dei Centri di ascolto per segnalare un abuso è stato di 86: 38 contatti nel 2020 e 48 nel 2021.
Tra le tipologie dei casi di abusi sessuali sui minori emersi dal primo rapporto sulla pedofilia del clero italiano vi sono comportamenti e linguaggi inappropriati, toccamenti, molestie sessuali, rapporti sessuali, esibizione di pornografia, adescamento online e atti di esibizionismo.
Il “profilo” delle presunte vittime si concentra nella fascia d’età 10-18 anni, col 37,1%. il 31,5% delle presunte vittime ha un’età compresa tra i 10 e i 14 anni. Il 18,0% di casi segnalati riguarda presunte vittime over 18 anni, “spesso in questi casi si è trattato di adulti considerati vulnerabili”, si legge nel report, dove non vi sono segnalazioni di presunte vittime di età inferiore ai 5 anni, mente nella fascia d’età 5-9 anni le segnalazioni rappresentano il 13,5% del totale.
Nel rapporto c’è anche un “profilo” del presunto autore delle violenze: si tratta grosso modo di un maschio adulto di età compresa tra i 40 e i 60 anni e si tratta nel 44,1% dei casi di chierici, ovvero persone che hanno avuto un ruolo all’interno della Chiesa o hanno preso una forma di voto. Seguono poi i laici (33,8% dei casi) e quello che viene definito “personale religioso”, di fatto sacerdoti e vescovi, col 22,1% dei casi.
In una tabella, la 3.14 che riguarda le “azioni di accompagnamento alle presunte vittime”, i casi presi in esame sono solamente 57: in poco più del 40% dei casi sono state fornite “informazioni e aggiornamento sull’iter della pratica”, ovvero “la possibilità di incontrare l’Ordinario (24,6% dei casi), oppure di seguire un percorso di sostegno psicoterapeutico (14,0%), o ancora di accompagnamento spirituale (12,3%)”. In nessun caso preso in esame si parla di segnalazioni alle autorità giudiziarie, anche se in conferenza monsignor Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio Nazionale per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili della Cei, ha sottolineato che “non c’è per la legge italiana l’obbligo né da parte dei vescovi né per qualunque altro cittadino italiano di fare denunce ma noi, nonostante questo, ci siamo assunti l’obbligo morale di favorire e incoraggiare da parte delle vittime, la denuncia cosa che prima non facevamo”.
Nel corso della conferenza di presentazione del report Cei è stato riferito che i fascicoli con accuse di abuso a carico di chierici depositati dalle diocesi dal 2000 ad oggi al dicastero della Dottrina della Fede sono 613. La Conferenza episcopale ha spiegato che su questi avvierà una ulteriore indagine, i cui risultati finiranno probabilmente nel rapporto definitivo.
Un report che per Francesco Zanardi, presidente della ‘Rete L’Abuso’, l’associazione sopravvissuti agli abusi sessuali del clero, è solamente “uno specchietto per le allodole”. Commentando con LaPresse la pubblicazione del rapporto, Zanardi si dice “sbigottito” perché “il report considera solo 2 anni, in cui tra l’altro c’è stato il Covid e solo i dati degli sportelli delle Diocesi. Il cardinale Zuppi aveva parlato di 20 anni, ora il lasso di tempo è stato ulteriormente ridotto. Il dato tuttavia è allarmante. In quel report non compaiono i casi della Congregazione per la dottrina della fede, i casi finiti in magistratura e i casi che abbiamo noi come associazione”.
© Riproduzione riservata