La Commissione che ha ‘annichilito’ la riforma Cartabia che aveva introdotto il fascicolo delle performance del magistrato è costata 141mila euro. Lo ha scoperto ieri nelle pieghe del bilancio Enrico Costa, deputato e responsabile Giustizia di Azione, che era stato il firmatario dell’emendamento alla riforma voluta dall’ex presidente della Consulta che lo scorso anno aveva previsto tale istituto. Oltre il danno, dunque, la beffa.

Il fascicolo delle performance doveva servire, nelle intenzioni, a monitorare le attività dei singoli giudici o pm, i loro meriti, ma anche gli errori, con particolare attenzione alle inchieste poi finite in un buco nell’acqua, alle sentenze ribaltate e, soprattutto, agli arresti ingiusti. Essendo una fotografia molto precisa della carriera di ciascun magistrato, il fascicolo delle performance avrebbe poi consentito a chi è più bravo e a chi lavora silenziosamente senza essere organico alle correnti, di poter fare la carriera che merita. Purtroppo, trattandosi di una legge delega, era già previsto che il governo dovesse emanare i relativi decreti attuativi.

Ed ecco dunque scendere in campo la Commissione voluta da Carlo Nordio, lautamente pagata, composta da 28 membri, di cui 23 magistrati, 10 fuori ruolo, 5 professori universitari e solo 3 avvocati che ha annacquato la riforma proseguendo nello status quo caratterizzato dalla irresponsabilità togata. “La responsabilità civile è di fatto impossibile, un percorso che nessun si avvocato si azzarda a proporre al suo assistito”, ha affermato Costa, ricordando che dal 2010 ad oggi ci sono state solo otto condanne. “Stesso discorso – ha proseguito – per la responsabilità disciplinare: ogni anno della circa 1500 segnalazioni che pervengono, oltre il 90 percento sono archiviate de plano dal procuratore generale della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare, senza che nessuno possa fare alcuna verifica. Sono archiviazioni che non hanno alcun vaglio. L’unico che può chiedere le copie di tali provvedimenti è il ministro della Giustizia ma non lo fa mai”.

Rimaneva, quindi, la responsabilità professionale, legata proprio alla carriera dei magistrati le cui valutazioni sono positive nel 99 percento dei casi, senza un meccanismo che ne raccolga le “gravi anomalie”. “La grave anomalia, per il sottoscritto anche una sola inchiesta con arresti e sbandierata ai quattro venti e terminata con l’assoluzione di tutti gli imputati, nei decreti attuativi invece è diventata ‘marcata preponderanza’ e quindi il magistrato dovrà sbagliare centinaia di inchieste o processi, oltre la metà dei suoi provvedimenti, prima di incappare in una penalizzazione sotto il profilo professionale”, ha puntualizzato Costa. Il fascicolo delle performance era stato fin dall’inizio boicottato dall’Associazione nazionale magistrati che, lo scorso anno, fece anche uno sciopero. “Le correnti dimostrarono chiaramente con tale iniziativa come temessero di perdere il controllo che detengono grazie a quel 99 percento di valutazioni di professionalità ‘automaticamente’ positive. Con il fascicolo tutta l’attività del magistrato sarebbe stata sotto gli occhi di chi deve fare la valutazione, non come oggi che gli atti vengono scelti a campione: così è più semplice distinguere chi lavora bene e chi lavora meno bene, premiando chi lo merita, anche se non è organico alle correnti”, ha quindi concluso Costa.

La scelta di Nordio di ‘infarcire’ la Commissione di magistrati non poteva non produrre tale risultato. Ma è l’intera attività del Ministero della giustizia ad essere ormai gestita dalle toghe in regime di monopolio. Anche la Commissione per la riforma del codice di procedura penale, insediatasi la scorsa settimana, è un monocolore togato: su circa 40 componenti, due terzi sono magistrati. È chiaro che con simili rapporti di forza è alquanto difficile porre in essere riforme che vadano a riequilibrare i rapporti fra accusa e difesa nel processo.

Dietro il ‘sabotaggio’ del fascicolo delle performance alcuni commentatori, però, vedono una precisa strategia. Il sospetto è che il Guardasigilli voglia ‘rallentare’ sulla riforma della giustizia, forse condizionato dalla premier che non ha intenzione di andare allo scontro con le toghe e quindi di mettersi contro l’Anm, contrarissima a qualsiasi riforma sulla giustizia, ad iniziare da quella sulla riforma della separazione delle carriere.

Come ricordato nei giorni scorsi sul Riformista, il problema principale sarebbe il referendum costituzionale. Anche se la riforma della separazione delle carriere, la cui discussione è in corso alla Camera, fosse approvata dal Parlamento, difficilmente il voto raggiungerebbe i due terzi sia alla Camera che al Senato. Numeri che il governo Meloni non ha, dovendo così ricorrere al referendum costituzionale dove non è previsto il quorum.

Visto che anche riforma del premierato prevederà, per gli stessi motivi, un referendum costituzionale, dalle parti di Fratelli d’Italia sarebbe partito il messaggio al numero uno di via Arenula di non insistere sulla riforma della giustizia. Meglio essere amici che nemici delle toghe.

Paolo Pandolfini

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