Quanto durerà?
Al-Jolani sveste i panni da terrorista e indossa quelli da leader: da Osama Bin Laden al dialogo con l’Occidente
Nel giro di pochi giorni ha guidato una coalizione di milizie che da Idlib è arrivata a Damasco e ha fatto sciogliere il regime di Assad come neve al sole. Come prima mossa ha scelto il premier della nuova Siria: Muhammad al-Bashir
Evidentemente, la strada verso Damasco è sempre foriera di conversioni inaspettate. Il precedente è illustre: Paolo di Tarso, all’epoca ancora persecutore di cristiani, che mentre andava verso l’attuale capitale della Siria venne avvolto dalla luce, cadde e si trasformò nel grande evangelizzatore del mondo pagano. E adesso, due millenni dopo, sempre sulla via di Damasco, il mondo sembra assistere a un’altra “conversione”, quella di Abu Muhammad al-Jolani. L’uomo che nel giro di pochi giorni ha guidato una coalizione di milizie che da Idlib è arrivata a Damasco e ha fatto sciogliere il regime di Bashar al-Assad come neve al Sole.
L’infanzia in Arabia Saudita
La storia del capo di Hayat Tahrir al-Sham parte dall’Arabia Saudita, nel 1982. Il nonno è uno dei tanti profughi siriani che ha lasciato il Golan dopo l’invasione israeliana (di lì forse il nome di battaglia, Jolani). Poi, quando il capo dei ribelli ha sette anni, la sua famiglia si trasferisce a Damasco, nel sobborgo di Mezzeh. E Jolani, il cui vero nome è Ahmad al-Sharaa, vive una giovinezza in una famiglia borghese: madre insegnante, padre consulente petrolifero incarcerato per un po’ sotto Hafez al-Hassad perché nazionalista vicino a Gamad Abdel Nasser.
La ‘folgorazione’ Bin Laden
Un’impostazione laica, che il giovane Ahmad abbandona quando Osama bin Laden colpisce le Torri Gemelle. E da quel momento, affascinato dal radicalismo islamico e dal jihad, a poco più di venti anni decide di partire per l’Iraq, per combattere nelle file di Al Qaeda contro l’intervento americano del 2003. Le forze Usa lo catturano nel 2006. E una volta scontata la condanna, Jolani torna in Siria quando la Primavera Araba si unisce all’avvento dello Stato islamico. La sfida tra Isis e Al Qaeda è feroce. Ideologica, politica, militare. Jolani fonda il ramo qaedista in Siria, Al Nusra. Resiste all’avvento del Califfato e all’esercito siriano, si rifugia a Idlib. Poi, nel 2017, spezza i legami con Al Qaeda e raccoglie intorno a sé milizie di diversa matrice, mercenari, salafiti, ribelli anti Assad. È l’ora di un nuovo esercito, di Hayat Tahrir al-Sham. E dopo sette anni, a novembre del 2024, scatena l’offensiva che distrugge in dieci giorni il sistema di potere baatista.
Da terrorista a leader?
Tutto potrebbe far credere che la sfida di Jolani sia finita. Obiettivo raggiunto con la presa di Damasco. E invece il capo dei ribelli ora ha una nuova partita: quella di farsi accettare dalla Siria e dal mondo. Una sfida complicatissima, che il leader di Hts ha iniziato come fanno molti. Con l’immagine. Parla ai media internazionali, si veste come un comandante rivoluzionario più che come un jihadista. Si cura la barba, si taglia i capelli. In qualche comunicato, non si firma nemmeno con il nome di battaglia. E come prima mossa ha addirittura individuato un primo ministro che gestisca la transizione tra il regime e la nuova Siria, Muhammad al-Bashir. Una figura scelta dopo un incontro tra il capo dei ribelli e il “premier uscente”, Muhammad al-Jalali. Al-Bashir è praticamente coetaneo di al-Jolani. Ha 41 anni, ma originario della provincia di Idlib, la culla dell’offensiva. È un ingegnere laureato ad Aleppo, ha lavorato, prima della guerra, nella compagnia del gas siriana. Quando Idlib si è trasformata nell’ultima ridotta ribelle, l’attuale leader della transizione si è laureato in legge islamica, è diventato ministro dello Sviluppo e degli Affari umanitari per poi a gennaio essere nominato capo del Governo di salvezza dal Consiglio della Shura.
Jolani tra dubbi e aperture dell’Occidente
Anche in questa scelta, come nelle prime mosse dalla caduta di Assad (garanzie alle minoranze religiose, ordine di non imporre il velo alle donne, amnistia ai soldati dell’esercito regolare) l’impressione è che Jolani abbia deciso di non replicare un modello “afghano”. Il capo dei ribelli vuole scrollarsi di dosso il suo ingombrante e inquietante passato, quello per cui l’Fbi ha messo sulla sua testa una taglia da dieci milioni di dollari. Qualcuno già sussurra che la designazione di terrorista potrebbe essere riesaminata. Il ministro del Gabinetto britannico, Pat McFadden, ha detto che Jolani “ha preso le distanze da alcune cose che aveva detto in passato”, e che nei prossimi giorni sarà valutato se rimuovere Hts dalle organizzazioni terroristiche. C’è chi dice che il capo dei ribelli abbia capito che la sua nuova Siria non potrà sopravvivere senza il benestare degli Usa, di Israele e dei suoi alleati. E che per questo dovrà dare ampie garanzie sui diritti umani e sul coinvolgimento delle altre fazioni. Anche la Francia è stata chiara: il sostegno alla transizione politica “dipenderà dal rispetto” dei diritti delle donne, delle minoranze e del diritto internazionale. Ma resta il grande punto interrogativo su questa conversione.
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