Gentile Direttore,
dura la vita del garantista. Vorrei proprio conoscere quel genio di un anarchico che ha ritenuto utile, al fine di sostenere lo sciopero della fame di Alfredo Cospito contro il 41-bis, realizzare un attentato incendiario contro la prima consigliera dell’ambasciata italiana ad Atene.
Si era appena riusciti a trarre la vicenda di Cospito dall’oscurità di una cella seminterrata nel carcere sassarese di Bancali, che si è dovuto registrare un fattore, perlomeno, “perturbante”.

Quell’attentato non ha portato, diciamo così, un grandissimo contributo alla campagna di mobilitazione che, sia pure tiepidamente, ha cominciato a manifestarsi intorno allo sciopero della fame dell’anarchico, ormai in corso da quasi cinquanta giorni; ha creato confusione e ha intimidito qualcuno; ha consentito, infine, al titolista del Giornale (Dio lo perdoni) di scrivere che, dal momento che Massimo Cacciari e io abbiamo trattato l’argomento, Cospito avrebbe «sedotto i salotti chic». D’altra parte, solo una concezione politicista e burocratica, in sostanza autoritaria, della lotta politica può spiegare l’azione di Atene. E, tuttavia, questa vicenda può aiutare a farsi un’idea non solo più concreta, ma anche più illuminante, di cosa sia davvero il garantismo e di quali siano le sue fatiche e i suoi dilemmi.

Va detto, infatti, che il garantismo è un sistema di principi assoluti e un’architettura di diritti e garanzie, di vincoli e prerogative, che valgono incondizionatamente e a prescindere. Dunque, a prescindere dal clima politico e da eventuali situazioni di emergenza, dalla figura del soggetto interessato e dallo spessore criminale del suo passato, dei suoi sodali e, ancor più, delle sue idee. Di conseguenza, la vicenda Cospito va considerata solo ed esclusivamente per la sua sostanza giuridica. E questa può essere sintetizzata attraverso alcune domande:

1. È proporzionata una pena come l’ergastolo, quando il reato da sanzionare sia di mero “pericolo” e non di danno? E si sia in presenza esclusivamente di “fatti prodromici” potenzialmente capaci di determinare una strage, ma che tale esito non hanno sortito? Si ricordi, infatti, che i due pacchi bomba inviati alla Scuola allievi carabinieri di Fossano (Cuneo) non hanno provocato né morti, né feriti, né danni rilevanti.

2. È ragionevole che quella pena sia corredata automaticamente dal regime ostativo che impedisce al condannato di accedere ai benefici penitenziari e di usufruire, dopo ventisei anni (oggi, a seguito di un provvedimento del nuovo Governo, trenta) della liberazione condizionale? E per il solo fatto che Cospito non ha collaborato con la magistratura?

3. È razionale che il titolo di quel reato comporti, quasi automaticamente, la sottomissione al regime speciale di 41-bis in condizioni particolarmente afflittive per il detenuto e per il suo equilibrio psico-fisico?

Ecco, queste sono le domande essenziali che, a mio avviso, vanno poste e che costituiscono una sorta di “test di garantismo” per grandi e piccini. Indipendentemente, dunque, dai precedenti penali di Cospito e dalle sue idee. Dagli atti criminali dei suoi compagni di lotta e dalla loro concezione della società e della politica. Capisco che non sia facile, ma è il solo esercizio possibile per affermare una concezione liberale dello Stato di diritto.

È quanto hanno dimostrato di comprendere quei parlamentari del centro e della sinistra che hanno presentato interrogazioni in merito: Peppe De Cristofaro, Ivan Scalfarotto, Riccardo Magi, Ilaria Cucchi, Nicola Fratoianni e Silvio Lai. Quest’ultimo ha potuto visitare il detenuto nel carcere di Bancali e mi ha riferito quanto Cospito gli ha raccontato: ovvero «l’impossibilità di tenere in cella le foto dei genitori defunti in quanto viene richiesto il riconoscimento formale della loro identità da parte del sindaco del paese d’origine».
Ecco, il 41-bis è anche questo. Come direbbe uno squisito giureconsulto: dov’è la ratio di tutto ciò?