Caro Riformista, è una novità clamorosa che persino il pm d’assalto Henry John Woodcock si sia schierato per la separazione delle carriere tra pm e giudici e per sottrarre le nomine ai vertici degli uffici giudiziari alla discrezionalità di un Csm dilaniato dalla lotta tra correnti politicizzate, puntando dunque su merito e sorteggi. Credo che tutto l’arco delle forze davvero riformiste dovrebbero fare dell’iniziativa per una seria ed efficace riforma della giustizia il cuore della propria agenda programmatica. Per 35 anni le posizioni di parte significativa della sinistra si sono identificate con un rigetto delle iniziative prima di Craxi e poi di Berlusconi sul tema, che si riteneva, per il secondo con qualche ragione, fossero più interessate a mettere a mettere la mordacchia all’iniziativa “autonoma” e all’indipendenza della magistratura che a realizzare una compiuta riforma di sistema.

Credo abbia ragione il direttore Piero Sansonetti: «La sinistra nasce garantista, non giustizialista e forcaiola, si è sempre battuta per estendere e consolidare i diritti, anche quelli individuali, e mai per comprimerli». È un’anomalia tutta italiana che posizioni da “Santa Inquisizione” abbiano rappresentato uno dei tratti identitari delle forze cosiddette progressiste che hanno prodotto, di recente, lo sconfortante risultato di una riforma illiberale della prescrizione dei processi (su cui è auspicabile che il nuovo governo voglia intervenire). Mi sentirei più sicuro in un Paese dove due magistrati non convengono sul fatto che «Salvini forse ha ragione, ma bisogna colpirlo» come emerge dal libro-intervista di Luca Palamara, anche se censuro politicamente le scelte dell’ex ministro degli Interni. Vorrei vivere in una città dove i procedimenti aperti sul primo cittadino non siano esaminati da suoi ex colleghi che magari hanno preparato il suo stesso concorso e con i quali ci sono, probabilmente, rapporti di cordialità e sintonia che culminano nella partecipazione a iniziative comuni come presentazioni di libri e altro.

È pretendere troppo che i magistrati che conducono le indagini siano da reclutare con un concorso diverso dai giudici che su quelle indagini devono pronunciarsi? È eversivo pretendere che accusa e difesa siano posti su un piano di assoluto equilibrio e pari dignità? Perché i magistrati, in caso di evidenti errori giudiziari commessi per colpa grave o negligenza, non dovrebbero rispondere in prima persona, così come avviene per tutte le altre categorie (medici, avvocati, ingegneri, amministratori pubblici), e al loro posto devono essere chiamati lo Stato e l’Erario pubblico a risarcire il danno procurato per una ingiusta detenzione, per esempio? Non siamo al cospetto di un privilegio castale medievale e intollerabile? Perché non pretendere che le nomine al vertice degli uffici giudiziari siano svincolate da logiche correntizie e quindi politiche? E che i procuratori rispondano esclusivamente alla propria coscienza e professionalità e siano ispirati solo dal dovere di assicurare legalità e giustizia?

Le forze democratiche e di progresso hanno il dovere di impegnarsi per una Giustizia davvero equa e giusta, che rappresenti uno dei cardini della nostra democrazia, incentrata sulla separazione dei poteri, che non solo sia ma che appaia anche libera e indipendente, che si dimostri all’altezza dei compiti fondamentali che la nostra Costituzione le ha assegnato. Si tratta di un tema cruciale per il futuro del nostro Paese. Ambiguità, mediazioni al ribasso e ritardi non appaiono più ammissibili.

Avvocato e già assessore al Patrimonio del Comune di Napoli.