Tra i grandi mali prodotti dal nostro ordinamento penale c’è quello che soffre l’altro comparto dell‘amministrazione, la giustizia civile. Le risorse ingentissime veicolate a sorreggere il sistema dell’azione penale obbligatoria e ad alimentare la fungaia di agenzie anti-corruzione e direzioni investigative, assai più utilmente potrebbero essere dirottate e adoperate per il finanziamento degli ordinari servizi della giustizia in favore dei cittadini.

Se il loro diritto a una giustizia efficiente è revocato dalle lungaggini che spediscono a sentenza dopo anni e anni; se il loro credito langue sotto le montagne di scartoffie ingiallite ancora incombenti sull’arrancare del processo telematico; se la loro pretesa di veder riparato il torto civile che ingiustamente li affligge è maltrattata dalla spocchia di un’amministrazione che non solo adempie male al proprio ufficio, ma persino si lagna perché chi vi si rivolge lo sovraccarica, come il sovrano che sbuffa perché deve perdere tempo ad ascoltare i reclami dei sudditi; insomma se il complesso della giustizia civile non rende il servizio che dovrebbe è anche perché immani risorse sono distratte in omaggio una malintesa esigenza repressiva e sicuritaria, un bisogno letteralmente creato dall’imperante pan-penalismo che vede reati dappertutto e quando li cerca e non li trova è disposta persino a inventarseli pur di preservare l’immagine falsa di una società assediata dal crimine.

La persecuzione dell’immigrato preso con qualche grammo di fumo occupa il lavoro di un folto gruppo di magistrati, tra inquirenti e giudicanti, a tacere di quello delle forze dell’ordine inutilmente prestate a quella costosissima attività di tutela: e sono, appunto, risorse che meglio si impiegherebbero nella destinazione civile, nel disbrigo dei milioni di procedimenti pendenti che rendono puramente teorico il diritto dei cittadini a una giustizia efficiente. Gli eserciti di funzionari impegnati a spiare la vita dei cittadini, a pedinarne i movimenti, a intercettarne le conversazioni, costano doppiamente perché non solo gravano sulle libertà comuni ma inoltre sguarniscono il fronte ordinario della giustizia sulle cose importanti, i rapporti civili tra i cittadini, le controversie di interesse quotidiano che non trovano risarcimento nel rastrellamento giudiziario o nella carcerazione del poveraccio con cui si celebra la certezza della pena.
Ed è il caso di aggiungere che ai problemi della giustizia civile, certamente determinati anche dalla persistenza di questo suprematismo penale, davvero non si pone rimedio come vorrebbe una magari ben intenzionata, ma assai poco calcolata, istanza riformatrice che rimette all’ambito extra-giudiziario la soluzione delle controversie.

Non si migliora la giustizia inducendola all’abdicazione in favore di “mediatori” (questo pressappoco è il generale progetto) che frappongono l’obbligatorietà del proprio intervento al diritto del cittadino di avere un giudice professionale, non un patronato di orecchianti, a occuparsi dei suoi diritti. Una enorme colonia penale con isolotti di giustizia civile in cui si subappalta il lavoro a improbabili professionalità avventizie solo perché ci si arrende a un’inefficienza ben altrimenti rimediabile assomiglia molto poco allo Stato di diritto che occorrerebbe ripristinare. È con meno giustizia penale che si incivilisce la giustizia; ed è restituendo effettività alla giurisdizione civile, non erodendola ulteriormente, che si garantisce il diritto del cittadino di trovare un servizio anziché un ginepraio.