Come spesso gli accade, anche in questa occasione a Fausto Bertinotti non è mancato il coraggio di una proposta difficile. Difficile innanzitutto per il rischio di essere fraintesa.  Conoscendo un po’ l’uomo e la sua cultura politica niente gli è più estraneo del politicismo. E infatti la sua prima preoccupazione è quella di sgomberare il campo da una lettura di questo tipo della proposta che avanza. Sono esattamente gli “altri elementi della politica”, quelli che – come scrive – sono scomparsi dalla scena che sono al centro del suo complesso ragionamento. La tesi suggestiva di un Pd come centro immobile coglie davvero il cuore del problema. Non si tratta credo della abusata e banale considerazione di un Pd non più di sinistra e ormai forza di centro. La centralità del Pd, frutto di inerzia più che di iniziativa, è in realtà la metafora efficace dell’insieme della vicenda politica. È alla sterilità della politica come indifferente amministrazione dell’esistente che pensa Bertinotti e a quella sterilità la sua idea cerca di insinuare un contrasto.

Ciò che Bertinotti coglie con efficacia è la funzione che oggi ha il “popolo” nella politica odierna. Il Popolo come mera evocazione simbolica priva di ogni processo di costruzione democratica. E invece, nella nostra tradizione politica migliore – sia quella di origine cattolico democratica con la variante liberale, sia quella del marxismo italiano – risiede una straordinaria capacità di pensare il popolo non come massa indistinta ma come costruzione di soggettività nel processo di sviluppo della democrazia. Se per il populismo, nelle sue diverse versioni, l’idea simbolica di popolo è piuttosto scontata, per il Pd – ultimo lembo di ciò che fu un tempo la politica del nostro Paese – forse è ancora possibile evitare lo scivolamento lungo la china della autoreferenzialità più assoluta. Bertinotti riconosce con duttilità e intelligenza che il Pd, nel perimetro del gioco politico istituzionale, non è stato travolto. E che, anzi, in quella asfissia, riesce perfino a svolgere un ruolo centrale. Ma perciò stesso obbligato, pena il permanere in quello che Bertinotti chiama il teatro dei morti che camminano, a darsi un più complesso e ambizioso indirizzo.

Che è in primo luogo la tensione a ricollegarsi ai conflitti reali, a interpretare il nuovo e inedito ciclo del lavoro contemporaneo frammentato e disperso. A maturare l’ambizione programmatica e politica di incidere sulle grandi scelte di politica economica nel Paese e su scala globale. A farsi cioè vera grande forza di massa che rientri nel vissuto del popolo e dei suoi anche più inediti e spuri conflitti. Ciò che in sostanza Bertinotti propone è dunque il contrario di un autoscioglimento a freddo, un mero atto amministrativo e formale. E non è neppure il solo Pd destinatario della sua riflessione. L’ex capo di Rifondazione prospetta di fatto – qui il coraggio e l’audacia (ma se non ora quando?) – la necessità di produrre le opportune rotture, organizzative e culturali, per dislocare l’insieme delle culture e degli insediamenti della sinistra italiana in qualche modo nel solco delle grandi forze, laburiste e democratiche, sul modello della tradizione anglosassone.

Una grande Costituente che fondi un popolo prima che un partito. Che sfugga alla tentazione – oggi prevalente – di coltivare ciò che confusamente residua dagli insediamenti sociali di un tempo. Che costituisca uno spazio largo, proprio perché alieno dal politicismo, nel quale possano convivere e misurarsi – perché socialmente irrorate – diverse culture e ispirazioni politiche. Ispirazioni che si richiamino tanto alle culture tendenti a un mercato sociale, tanto a quelle socialiste, tanto a quelle di più spiccato orientamento anticapitalista. La proposta che Bertinotti avanza, tutt’altro che di facile realizzazione, in realtà parla al Pd, che è la forza comunque essenziale per qualsiasi disegno ambizioso e al quale si chiede lo sforzo più generoso. Ma parla anche a tutto l’universo, sociale e politico, di una sinistra ormai da troppi anni marginale e sommersa a cui si chiede un salto consapevole di maturità e serietà. In fondo che ad avanzare una proposta così sia proprio il leader dell’unica forza politica, di movimento e di governo, che ha avuto negli anni un ruolo significativo alla sinistra del partito riformista maggiore, riannoda il filo di una storia comune che tanti – sia nel Pd che più a sinistra – avevano erroneamente creduto fosse andata perduta.