La mossa del presidente Usa Biden di perdonare gli americani colpevoli di reati legati al semplice possesso di cannabis ha fatto molto rumore. Era attesa da molto tempo – da candidato Presidente ne aveva più volte parlato – ma resta un atto importante, che neanche Obama era riuscito a fare. Stiamo parlando di un provvedimento che riguarda moltissimi americani: dal 1965, quasi 29 milioni di cittadini Usa sono stati arrestati per violazioni legate alla marijuana, buona parte per semplice possesso.

Ma l’annuncio più importante è stato probabilmente quello di voler riclassificare la cannabis nella legge federale sulle droghe (che è ancora quella di Nixon). Il timing non è certo casuale. La cannabis è tema molto popolare, con un gradimento per la legalizzazione a livello federale che sfiora il 70%, e le elezioni di medio termine sono fra un mese. Non è casuale nemmeno rispetto al dibattito del congresso. Riclassificare è diverso dal declassificare e quindi rimuovere la cannabis dalle sostanze controllate come vogliono fare sia il MOREAct già approvato dalla Camera e il CAOA appena introdotto dal capogruppo democratico al Senato. Vedremo che conseguenze avrà l’atto presidenziale, ma una cosa è certa, la questione è ormai al centro del dibattito statunitense.

Del resto la politica dovrebbe sapere fare i conti con fatti ed evidenze. In questi anni, a partire dall’Uruguay, passando dai 19 Stati Usa che hanno legalizzato la cannabis per tutti gli usi e finendo al Canada, sono emersi dati che hanno evidenziato i buoni risultati della regolamentazione legale della sostanza illegale più usata al mondo. Una regolamentazione che sostituendo al controllo penale quello sociale permette di ridurre i danni, migliorare la vita nelle città e – perché no? – essere stimolo per l’economia. Proprio in Canada a metà ottobre saranno passati 4 anni dall’entrata in vigore del Cannabis Act. Voluta dal Primo Ministro Justin Trudeau, la legge ha come duplice obiettivo proteggere la salute e la sicurezza dei canadesi, in particolare dei più giovani, e contrastare le narcomafie togliendo loro il mercato della cannabis.

È prevista una valutazione in corso d’opera del nuovo approccio del governo. Così un gruppo di esperti indipendenti condurrà una revisione, “credibile e inclusiva” a partire dai dati raccolti in questi primi 4 anni. Il lavoro degli esperti verterà in generale sull’impatto economico, sociale e ambientale della legge. La revisione allargherà lo sguardo dai progressi rispetto all’accesso alla cannabis legale e alla sostituzione del mercato illegale, per analizzare l’impatto su salute e abitudini d’uso dei giovani, sulle popolazioni indigene, sulle minoranze e sulle donne. In generale su coloro che, a causa di fattori identitari o socio-economici, potrebbero subire maggiori danni dalla legalizzazione o incontrare maggiori barriere nella partecipazione all’industria legale. Senza dimenticare l’impatto della regolamentazione sull’accesso alla cannabis per scopi medici. Come fu partecipato il processo di stesura della legge, anche quello di revisione coinvolgerà l’opinione pubblica, i governi locali, le popolazioni indigene e tutti i soggetti interessati.

I dati di questi anni sono molto interessanti. Aumenta la percezione del rischio rispetto all’uso di cannabis, in particolare fra i più giovani. Giovani che non consumano di più, mentre dopo un picco iniziale l’aumento dell’uso nella popolazione generale è rientrato subito all’interno del trend storico. L’uso quotidiano è rimasto stabile ai livelli pre-legalizzazione. Pesa – per l’equivalente di oltre 80 milioni di euro – l’investimento in comunicazione, che si è concentrata sulla diffusione di informazioni “chiare e coerenti” sui rischi della cannabis. Solo un adolescente su dieci oggi pensa che non vi siano rischi nell’uso regolare di cannabis.

A fine 2021 il fatturato della cannabis legale rappresenta il 66% del totale ed ha doppiato quello illegale, in un progressivo processo di sostituzione. Se il prezzo è stato uno degli ostacoli alla transizione dei consumatori dal mercato illegale, oggi la forbice rispetto al mercato nero si sta progressivamente chiudendo: il prezzo medio della cannabis legale a fine 2021 era di 4,21 euro al grammo. Certo non è tutto rose e fiori come ha evidenziato al Festival di Internazionale a Ferrara Jonathan Hiltz, giornalista canadese, durante il panel sulla cannabis, condotto da Antonella Soldo di Meglio Legale e partecipato da 700 persone. «La vittoria più grande del Cannabis Act è il fatto che oggi gli adulti canadesi possono acquistare la cannabis da una fonte legale. Considerando che nella maggior parte del mondo vige ancora il proibizionismo, questo tipo di libertà è rara».

A margine dell’incontro Hiltz, citando un rapporto del 2021 di Deloitte, ha poi sottolineato come “l’industria della cannabis ha aggiunto 43,5 miliardi di dollari al Pil e oltre 151.000 posti di lavoro in Canada dall’inizio della legalizzazione”. Come ricordato, il processo di eliminazione del mercato nero «è in corso e si spera che continui. Secondo l’opinione di molti addetti ai lavori, il governo canadese dovrà allentare le normative perché ciò abbia successo». Le principali criticità da risolvere secondo Hiltz sono infatti legate a tasse e rigidità della normativa: «il governo canadese deve subito esaminare il gettito fiscale che sta sottraendo al settore. Questo è particolarmente importante per quanto riguarda le accise alla produzione, che molti produttori vorrebbero vedere eliminate perché ritengono che siano un ostacolo alla redditività».

Anche «il limite di 10 mg per i prodotti edibili è troppo basso e deve essere aumentato a livelli simili a quelli degli Stati Uniti. Questo non solo aumenterà il consumo di edibili (meno dannosi alla salute rispetto al fumo), ma dovrebbe anche intaccare ulteriormente il mercato illegale». Per Hiltz è necessario, infine, anche un intervento sulle norme relative al marketing: «Sono troppo draconiane e le aziende produttrici di cannabis dovrebbero essere autorizzate a fare pubblicità nello stesso modo in cui possono farlo per gli alcolici in Canada. Questo è particolarmente importante per quello che riguarda il confezionamento e quindi il riconoscimento del marchio».

Accorciando lo sguardo verso l’Italia non si può non ricordare come anche la legge Jervolino Vassalli, grazie ad un emendamento dell’opposizione di allora, aveva previsto ogni 3 anni una conferenza nazionale sulle droghe, con il compito di revisionare la legge. In effetti non lo ha mai fatto e il dibattito di questi giorni rispetto al Piano d’Azione Nazionale sulle Dipendenze (Pand) è la giusta cartina di tornasole. Gli attacchi della destra che si appresta a governare non hanno risparmiato un piano non particolarmente coraggioso, ma che reintroduce nel lessico ufficiale parole come riduzione del danno, espulse ai tempi del duo Giovanardi-Serpelloni.

È anche un piano contraddittorio, anche rispetto agli orientamenti emersi dagli esperti alla conferenza nazionale: alla depenalizzazione delle condotte di lieve entità ad esempio il Pand risponde inserendo fra i risultati attesi l’incremento delle operazioni contro quelle stesse. Non avrà comunque vita lunga, a dimostrazione che in Italia sulle droghe il dibattito politico è ancora ben lontano dall’affrancarsi dall’ideologia proibizionista.