Come volevasi dimostrare. Avevamo scritto che le chiavi per risolvere il grande dilemma del nuovo governo post elezioni spagnole erano nelle mani dei secessionisti catalani di Junts ed in particolare di Carles Puigdemont, il loro leader in esilio a Waterloo, la cittadina a sud di Bruxelles entrata per altre ragioni nella storia, e così sta avvenendo. Complicando alquanto il quadro complessivo.
Mentre infatti il leader dei popolari Alberto Núñez Feijóo, arrivato primo alle elezioni, ha incassato ieri l’appoggio, scontato, netto ma assai ingombrante dell’estrema destra di Vox, è lui stesso che nella giornata di ieri ha riconosciuto di avere ben poche chances di formare il governo: gli mancano infatti alcuni voti per passare le forche caudine della successive votazioni di fiducia in Parlamento, quella che richiede la maggioranza semplice a differenza della prima a maggioranza assoluta.

Tanto più che con un appoggio così netto da parte di Vox, anche quello degli indipendentisti canarini e della loro deputata rischia di venir meno.
Dato quasi per scontato che il leader dei popolari non riuscirà ad ottenere la maggioranza, sarà naturale che una chance il Re si decida ad affidarla a Pedro Sanchez ed a quel punto si riapriranno i giochi dentro la possibile maggioranza di centro-sinistra-sinistra che proprio in queste giornate ha iniziato ad entrare nel cuore delle trattative.
È di ieri infatti la conferenza stampa di Puigdemont da Waterloo. Il leader dei secessionisti catalani, in esilio perché nel momento in cui mettesse piede in Spagna verrebbe arrestato per le vicende del 2017, ha chiesto una legge di amnistia generale per tutti gli arresti che seguirono alla indizione del referendum di indipendenza, allo stop, con tanto di guardia civile, deciso da Madrid ed alla crisi politico-istituzionale che ne conseguì. La richiesta è decisamente impegnativa e mette decisamente in crisi innanzitutto Sanchez ed il PSOE, che è certamente un partito di sinistra ma che è riuscito ad avere, anche nelle ultime elezioni, il sostegno del ceto produttivo liberal e moderato delle grandi metropoli e che ha un pezzo di classe dirigente che troppo a sinistra non vuole farsi strattonare: uno degli obiettivi più classici degli attacchi di popolari e Vox contro il “sanchismo” è stata proprio l’arrendevolezza alle istanze indipendentiste ed alle candidature dei loro esponenti radicali (terroristi, senza troppi giri di parole, venivano definiti) nelle amministrazioni locali.

Puigdemont sa bene che la trattativa inizia ora ed alza la posta, dopo aver incontrato la leader della sinistra-sinistra Yolanda Diaz che nei giorni scorsi si è recata in Belgio, prima esponente istituzionale spagnola a vederlo dopo il 2017. Chiede l’amnistia e la chiede prima di iniziare ogni trattativa, prima del voto in Parlamento, una volta che il Re dovesse affidare l’incarico a Sanchez. Non gli bastano le aperture che lo stesso Sanchez ha fatto, come quella sul multilinguismo in Parlamento, dove si inizieranno già nelle prossime settimane ad utilizzare le lingue co-ufficiali, e cioè il basco, il galiziano ed ovviamente il catalano accanto allo spagnolo. Non gli basta una generica pacificazione rispetto al 2017, che sarebbe una soluzione ragionevole per il PSOE e forse pure per larga parte degli spagnoli, in maggioranza pronta a voltare pagina. E non gli basta neppure l’apertura di una trattativa che porti ad un nuovo patto costituzionale sulle autonomie, come con grande furbizia politica il leader degli indipendentisti baschi – quelli moderati – ha proposto nelle scorse settimane.

Quale sarà il punto di caduta lo vedremo nelle prossime settimane, a partire da quando – il 26 e il 27 settembre – il Parlamento discuterà la fiducia a Feijóo. E capiremo se anche questa volta il gatto a nove vite Sanchez è riuscito a scamparla e se Puigdemont da Waterloo ne uscirà con le ossa rotte come capitò ad un altro personaggio storico o se stavolta la spunterà. Una veloce analisi della storia recente spagnola farebbe propendere per la prima soluzione, ma è anche vero che proprio l’analisi degli avvenimenti del 2017 non lasciano ben sperare sulla intelligenza politica della sinistra indipendentista catalana, il cui massimalismo ha portato la Spagna alla complicata situazione che vive oggi.

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva