C’è una destra estrema, nazionalista e sovranista, che sta crescendo in Europa. Quasi sempre mette in discussione l’Europa e le sue istituzioni, è xenofoba, nega il cambiamento climatico, è contraria ai diritti conquistati dalle minoranze e a concederne di nuovi. In tempi di Covid era quasi sempre no-vax.
In Spagna ha il volto di Vox. E in quel paese che non ha più un partito a rappresentare il centro, la reazione dei popolari è stata quella di rincorrere così tanto l’estrema destra da perdere parte del voto metropolitano liberal e centrista e mancare l’occasione di tornare al governo, col rischio di riconfermare Sanchez alla Moncloa.

In Germania ha il volto dell’AfD. Su questo giornale da mesi raccontavamo la crescita di quel partito e le dichiarazioni a tratti neonaziste dei suoi esponenti. C’è voluta una intervista di uno dei suoi leader sulla necessità di prevedere scuole separate per le persone con disabilità, per costringere il mondo politico italiano a prendere posizione. In Francia ha il volto della Le Pen e del suo Front National. In Ungheria è al governo, in altri paesi viaggia nei sondaggi intorno al 10/15%, a volte sopra. Questa destra estrema è forte, ha una precisa identità culturale e si fa sentire. A Bruxelles si ritrova quasi tutta nel gruppo Identità e Democrazia, lo stesso cui aderisce Matteo Salvini e la sua Lega.

Se una lezione arriva dalla Spagna è che avere un centro forte ed autonomo rispetto alla destra radicale è fondamentale, perché dà la possibilità di escludere gli estremismi. È una lezione che i tedeschi sembrano aver imparato, dal momento che quasi ovunque popolari e liberali tengono l’AfD fuori dal circuito politico. Ed è una lezione che però in Italia si stenta a capire. Le dichiarazioni di Antonio Tajani di qualche giorno fa (“mai accordo con Afd”) non sono infatti sufficienti: perché Forza Italia con gli alleati di quella destra estrema, con la Lega di Matteo Salvini, in Italia condivide l’esperienza di governo. E perché Tajani dovrebbe prendere atto, a Roma come a Bruxelles, che c’è un limite oltre al quale non spingersi. Diversamente si perde la propria anima moderata e ci si ritrova a condividere scelte che con la cultura popolare e liberale nulla hanno a che fare: non è del resto esattamente questo lo scenario cui abbiamo assistito con le decisioni dell’ultimo Consiglio dei Ministri?

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva