No, non ci sto. Sono disposto ad affrontare un dibattito razionale e civile fra le ragioni del e quelle del No. Sono anche disposto a mettere a confronto le ragioni di una scelta di opposizione costruttiva con le ragioni di chi spesso sostiene, a mio avviso, passivamente e acriticamente l’attuale alleanza di governo. Ma se qualcuno, per controbattere alle mie ragioni, pretende di farmi passare e di fare passare i radicali, con Pannella, come i precursori di Grillo e del populismo, si merita una risposta altrettanto tranchant. Populisti un accidente.

Non eravamo populisti quando negli anni ‘60 chiedevamo e ci sforzavamo di operare per il passaggio da una democrazia bloccata a una democrazia compiuta; quando negli anni ‘70 lottavamo per il divorzio e per la riforma dei diritti civili o proponevamo di mettere mano alle strutture e alle leggi fasciste sopravvissute all’avvento della democrazia e della Repubblica e chiedevamo a gran voce l’unità, il rinnovamento e l’alternativa della sinistra; quando negli anni ‘80 e ‘90 tentammo inutilmente la strada dell’unità dei partiti laici e socialisti e, con i referendum Segni, la riforma del sistema politico che obbligasse i maggiori protagonisti della politica italiana, a cominciare dal PCI, a fare i conti con i problemi di governo della società e dello Stato, creando alleanze compatibili con questo scopo. Che funzionò pure per più di un decennio e almeno tre legislature, fin quando il Mattarellum non fu sostituito dal Porcellum di Berlusconi e Calderoli.

La lotta alle degenerazioni della partitocrazia è sempre stata condotta in nome della legalità costituzionale e per riconquistare un pieno e corretto funzionamento della democrazia. E lo stesso referendum sul finanziamento dei partiti era tutt’altro che antipolitico (ma scherziamo? Nessuno più di noi si è battuto per la nobiltà, la necessità, l’efficacia della politica, della buona politica, cioè del governo della polis). Nasceva al contrario dall’esigenza di congegnare un sistema alternativo, che proponemmo, di sostegno pubblico all’attività politica, che non fosse di esclusivo appannaggio dei partiti esistenti e dominanti nel campo dell’opposizione e della maggioranza. E teneva conto della necessità di riportare alle loro funzioni democratiche partiti politici che avevano ereditato dal fascismo la mostruosa concezione del “partito-Stato”, del partito che occupa e prevarica le istituzioni, come peraltro sta oggi facendo il M5S dietro lo schermo dell’onestà e di una “diversità antropologica”, di cui proprio i radicali hanno sempre insegnato a diffidare, da chiunque venisse proclamata.

Non è guardando alla nostra storia che Ferrara troverà l’origine e la causa degli attuali populismi. Li deve cercare piuttosto nelle numerose pratiche partitocratiche che ha frequentato e sostenuto nella sua lunga attività di giornalista e di politico: nella incapacità di partiti che hanno solo cambiato i loro nomi e non sono mai riusciti a cambiare se stessi e tanto meno le istituzioni e lo Stato democratico. È vero, Grillo è arrivato buon ultimo, ma non dopo Pannella: è arrivato dopo Bossi e la Lega, dopo la Rete e l’Italia dei Valori, dopo Orlando e Di Pietro: precedenti che una classe dirigente per così dire “di sistema”, da Ferrara sempre difesa e sostenuta, ha sistematicamente ignorato, sperando di poterli esorcizzare o neutralizzare, coinvolgendoli nelle proprie pratiche di potere. È in base a queste logiche che oggi siamo arrivati al M5S di Di Maio, alla Lega di Salvini e ai Fratelli d’Italia della Meloni.

In quel terribile incubatore dell’antipolitica che è stata la retorica di Mani Pulite e l’illusione della moralizzazione per via giudiziaria della Repubblica, Pannella è stato dall’altra parte e c’è stato praticamente da solo, con il “Parlamento degli inquisiti”, mentre la “nuova” destra e sinistra secondo repubblicana, compresa quella berlusconiana, in quel frangente soffiava forte sul repulisti, sull’ordalia, sulla rimozione delle ragioni politiche del default economico e civile dell’Italia e sulla ricerca di comodi capri espiatori. Non c’è stato politico più lontano di Pannella dal populismo e dall’idea di una semplice followership dei sentimenti prevalenti dell’elettorato. Non c’è stato partito politico più alieno di quello radicale dal “facilismo” economico-sociale o istituzionale, che ha dilagato nella politica ridotta a perenne inseguimento dei desideri e delle illusioni di una opinione pubblica smarrita.

Certo anche noi abbiamo le nostre responsabilità. Ma la nostra responsabilità è stata quella di non essere riusciti a convincere le classi dirigenti dei partiti politici (dalla Dc al PCI e ai partiti laici e socialista, nella prima repubblica, “berlusconiani” e “antiberlusconiani” nella seconda) che abbiamo sempre avversato per le loro politiche, ma con i quali abbiamo sempre, sempre dialogato. La nostra responsabilità è di non avere avuto la forza di realizzare quella democrazia dell’alternanza che presupponeva una alternativa di sinistra democratica (e un centro destra liberale e non biecamente conservatore, quando non reazionario).

L’attacco di Ferrara ci dice però che, nonostante le nostre divisioni, anche questa volta i radicali sono pericolosi per i difensori dello status quo. E le sue parole alzano un polverone che serve ad allontanare l’attenzione degli elettori del 20 e 21 settembre dal simbolo grillino di questa pseudo riforma: le forbici. Per impedire che tutto si riduca a una sforbiciata occorre un significativo successo dei No. Solo se questo si verificherà, e non con le assicurazioni di Ferrara o con le parole – che restano spesso solo parole – di Zingaretti, si potrà sperare di riaprire in Italia un vero e serio dibattito sulle riforme (che includa e non escluda anche il discorso sulla legge elettorale e l’ineluttabilità della restaurazione proporzionale): riforma costituzionale, certo, riforma elettorale e dei regolamenti parlamentari pure ma, anche, riforma della giustizia, riforma di una economia bloccata, di una amministrazione pubblica ingolfata da mille intralci e blocchi burocratici e da una inammissibile sovrapposizione e contrapposizione di poteri.