Come è spesso accaduto nella storia italiana, anche nel dibattito sul referendum costituzionale emerge una costante di assoluta e misconosciuta gravità: la violazione dei diritti civili e politici dei cittadini, a partire da quello di conoscere per deliberare, non è un fenomeno casuale, legato alla semplice negligenza di quanti – “palazzi” politici, organi di informazione, istituzioni di garanzia – dovrebbero salvaguardarne l’effettiva possibilità di esercizio. La violazione dei diritti degli elettori è sempre funzionale a un disegno di potere, cioè all’arruolamento coatto e passivo dell’opinione pubblica in una battaglia dal significato “epocale”, ma dai contenuti indeterminati, quando non manifestamente falsi e in ogni caso incontrollabili.

In questi anni abbiamo visto campagne con uno straordinario successo “di pubblico” su fenomeni che nella realtà non esistevano, ma che dilagavano nella rappresentazione mediatica di essa: l’invasione preordinata dell’Italia da parte di milioni di migranti, per un progetto di sostituzione etnica della popolazione indigena; il complotto delle istituzioni internazionali – europee e non solo – per l’asservimento politico e la spoliazione economica dell’Italia; le regole di bilancio e di disciplina finanziaria dell’Ue, per non parlare della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Ue e della Corte europea dei diritti dell’uomo, come dispositivi imperialistici finalizzati a cancellare l’identità e l’interesse nazionale italiano.

Il tema del taglio dei parlamentari e dei miracolosi risparmi conseguenti all’abolizione di quelli eccedenti la supposta giusta misura appartiene a pieno titolo a queste “verità alternative” (cioè false), che la vulgata populista e sovranista ha imposto nell’agenda politica nazionale. Oggi sette elettori su dieci non sanno perché e per cosa dovranno votare tra meno di due settimane. E quelli, per così dire, “informati” sanno che devono semplicemente decidere se tagliare il numero di deputati e senatori che in Italia sono comunque troppi rispetto alla media degli altri paesi europei. Come a dire: «Vuoi che l’Italia continui ad avere più eletti di quanti dovrebbe averne e a spendere per essi più di quanto dovrebbe spendere?».

L’informazione e la consapevolezza della posta in gioco è, grosso modo, a questo livello di qualità e approssimazione. Che il numero degli eletti in una democrazia parlamentare sia correlato non solo alla popolazione, ma, tra le altre cose, anche alla natura del sistema istituzionale – e nel nostro caso al bicameralismo paritario – e che i risparmi vadano calcolati correttamente, al netto, anche, delle mancate entrate dello Stato, non è mai stato tema di discussione. Non mi risultano ad esempio servizi e approfondimenti giornalistici degni di questo nome sul lavoro pregevole che l’Osservatorio dei conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano, diretto dal Prof. Cottarelli, ha svolto su questi temi, sbugiardando sia le stime miracolistiche sui risparmi, sia la denuncia scandalistica dell’anomalo sovrannumero di deputati e senatori italiani.

Insomma – a quanto pare – non dobbiamo votare sulle premesse (false) e sulle conseguenze (negative) del taglio lineare di deputati e senatori a Costituzione invariata, ma sul significato ideologico che a questo taglio viene attribuito dal M5S. E nelle discussioni in cui si rischia di svelare il bluff di questa riforma – come nelle tribune elettorali previste dalla par condicio – i favorevoli al Sì spesso lasciano la sedia vuota, non presentandosi in trasmissione, pur di evitare il dibattito e il contraddittorio. È accaduto ripetutamente in queste settimane e la notizia è che questo non abbia fatto notizia.

Ma tutto fa brodo, pur di non interrompere la messa cantata sul taglio dei parlamentari, effettuato in questo modo barbaro, come misura necessaria di moralizzazione civile. Nella campagna elettorale, come nella discussione precedente alla riforma, sono stati letteralmente rimossi e propagandisticamente sbianchettati i due punti – il superamento del bicameralismo paritario e il riordino delle competenze legislative tra stato e regioni – che da almeno due decenni sono al centro del dibattito costituzionale (non solo in ambito accademico) e da cui dipendono in larga misura i ritardi, le inefficienze e conflitti del processo legislativo nazionale e dunque, anche, dell’azione di governo. Gli stessi correttivi immaginati a questo taglio lineare di un terzo degli eletti – a partire dalla piena equiparazione di Camera e Senato in termini di elettorato attivo e passivo e di base nazionale di elezione – vanno nella direzione di un ulteriore “perfezionamento” del bicameralismo perfetto e lasciano del tutto impregiudicato il rapporto tra Stato e regioni. Eppure questo buco abbastanza clamoroso non emerge nella discussione e rimane sconosciuto all’opinione pubblica e confinato per lo più nelle diatribe degli addetti ai lavori.

Come dico da mesi, dunque, questo non è un referendum su una riforma, che proprio non c’è, ma sulla mutilazione “esemplare” delle camere, come suggello di una campagna di odio della democrazia rappresentativa, di oltraggio al Parlamento e di denigrazione dei parlamentari come parassiti e usurpatori della sovranità popolare. Questa campagna non ha nulla, ma proprio nulla che fare con i temi classicamente antipartitocratici, cui nella mia intera storia politica mi sono sempre sentita e tenuta fedele, ma ha piuttosto una intonazione classicamente antidemocratica, che non a caso è culminata nel successo di un partito politico, il M5S, che ha esplicitamente teorizzato il superamento del Parlamento e l’affermazione di un modello di autogoverno diretto concepito come una sorta di “televoto” permanente. Fare campagna per il No in questo contesto non significa tanto opporre ragioni contrarie a ragioni favorevoli ma ripristinare una discussione sul merito della decisione a cui i cittadini saranno chiamati, in una situazione in cui – quando va bene – si è costretti a parlare d’altro, o di niente.

In questo contesto non è facile essere ottimisti, ma è doveroso essere tenaci. Per dare un altro piccolo contributo a questa battaglia controcorrente – e spesso sott’acqua e in apnea – per domani, 9 settembre, +Europa ha organizzato nel pomeriggio una maratona oratoria di parecchie ore, a cui ha convocato molti dei protagonisti della campagna per il No e che passerà in rassegna le varie motivazioni che ci spingono a partecipare a questa competizione manifestamente impari. Ci saranno alcuni tra i deputati e i senatori che hanno firmato per la convocazione del referendum, giuristi e politologi, esponenti dei vari comitati che in questi mesi si sono costituiti e protagonisti della vita politica e civile che, come usa dire, hanno scelto di mettere la faccia su una presumibile sconfitta al referendum, perché sanno che dalla vittoria del Sì conseguirebbe una ben più rovinosa sconfitta per la democrazia italiana.