E due. Non pago di avere sconfessato il candidato democratico John Kerry nel 2004, adesso il cardinale Raymond Leo Burke da Roma è tornato alla carica con il candidato democratico Joe Biden: niente comunione se venisse eletto presidente. Questa del negare la comunione ai democratici cattolici come Kerry e Biden è un’antica ossessione non solo del cardinale Burke ma di tutti quanti fanno un uso politico strumentale della religione. Il motivo: i democratici negli Usa sono il partito a favore della legge che prevede l’aborto. I repubblicani invece la contrastano (senza successo) e hanno per questo l’appoggio senza riserve dei settori conservatori della Chiesa cattolica.

In Italia sembra una questione di poco conto, invece rivela due caratteristiche specifiche del cattolicesimo statunitense. La prima: con oltre 65 milioni di fedeli, la Chiesa è la confessione che ha – in termini percentuali – il maggior numero di aderenti e dunque un peso specifico interessante quando si va a votare. Secondo: il cattolicesimo Usa è spesso «di facciata» cioè risente di una visione puritana e «privata» tipica di una società protestante – anzi «evangelical» cioè influenzata dall’approccio tipico del protestantesimo al di fuori delle confessioni storiche europee. In altri termini: quando serve, fede e vita pubblica vanno scissi e quando è politicamente utile si legano strettamente come nel caso dell’anatema del cardinale Burke. Se invece un eventuale candidato repubblicano – antiabortista – in casa si comporta in maniera amorale, va comunque appoggiato, considerato, benedetto, grazie alla scissione tra «fede» e «vita». E poiché peccatore, va compreso. Il democratico abortista per definizione, va sempre condannato, appunto per definizione.

Possiamo fare un altro esempio che riguarda il Vaticano da vicino. Nei giorni scorsi una «teologa» – cioè laureata in teologia – e medico, la dott.ssa Doyen Nguyen, ben conosciuta per le posizioni conservatrici in teologia e in medicina (un esempio: non accetta la definizione internazionale di «morte cerebrale»), ha attaccato a fondo l’ultimo documento della Pontificia Accademia per la Vita sul Coronavirus. Motivo: non è un testo cattolico. La prova: nelle 4mila parole non cita una sola volta «Dio», «fede», «Gesù». E quando in un «post» su Twitter la Pontificia Accademia per la Vita ha fatto notare che l’autrice – il cui commento è stato lodato e rilanciato dai siti conservatori Usa – presentata come docente alla Pontificia Università «Angelicum» (dei domenicani, a Roma), in realtà non era affatto docente stabile lì, allora apriti cielo! Delitto di lesa maestà: l’istituzione vaticana attacca una «povera» professionista. Golia contro Davide e pazienza se Davide abbia dato dell’atea alla Pontificia Accademia per la Vita e al suo presidente!

È uno dei tratti caratteristici del cattolicesimo Usa come si sta evidenziando soprattutto negli ultimi anni, dall’elezione di Trump nel 2016: un approccio intrinsecamente conservatore, secondo una visione estremamente privata della fede che difende gli interessi dell’ordine sociale ed economico del mondo dei «bianchi» il che corrisponde alle élites ricche. E con un fondo di «negazionismo»: il Coronavirus è forse un virus, i poveri sono tali per colpa loro, gli Usa guideranno il mondo, armi e guerre servono e basta. Il cardinale Burke non fa eccezione, anzi è il capofila di una forte opposizione a Papa Francesco che deriva dalle posizioni decisamente a favore dei poveri e dell’ambiente portata dal pontefice argentino. Se il Papa mette il dito sulle piaghe delle ingiustizie sociali, allora è «comunista», con buona pace della «dottrina sociale» della Chiesa. E i critici del Papa come Burke si sbizzarriscono a trovare «errori» teologici. Come appunto i cardinali dei «dubia», cioè gli autori di una lettera aperta a Papa Francesco dopo i due Sinodi sulla famiglia – 2014 e 2016 – e la presunta apertura ai divorziati risposati (che non c’è mai stata…). Il cardinale Burke anche qui è uno dei firmatari dei «dubia»; insieme al cardinale Brandmuller è l’unico rimasto in vita, dopo la morte dei conservatori Caffarra e Meisner.

Ma chi è il cardinale Burke, classe 1948, abbastanza inviso anche all’episcopato Usa – non certo progressista ma non così conservatore (almeno non del tutto)? È solidamente formato nel Diritto canonico, è stato vescovo negli Usa fin quando nel 2008 Papa Benedetto XVI lo ha chiamato a presiedere il Tribunale della Segnatura Apostolica, l’organo di ultima istanza chiamato a dirimere le controversie di attribuzione tra enti ecclesiastici. Ha partecipato al Conclave del 2013 che ha eletto Papa Francesco – al quale non risparmia critiche – e dal 2014 è Gran Maestro del Sovrano Ordine Militare di Malta, in pratica una carica onorifica.

Da qui forse si spiega gran parte del livore contro il Papa. E da qui traggono origine affermazioni contorte – sempre sul tema della morale e soprattutto della morale matrimoniale – come questa ad un sito conservatore del 2017: «Il criterio decisivo per l’ammissione ai sacramenti è sempre stato la coerenza del modo di vivere di una persona con gli insegnamenti di Gesù. Se invece il criterio decisivo diventasse l’assenza della colpevolezza soggettiva della persona – come hanno suggerito alcuni interpreti dell’Amoris laetitia – ciò non cambierebbe la natura stessa dei sacramenti? Infatti, i sacramenti non sono incontri privati con Dio, né sono mezzi di integrazione sociale in una comunità.

Piuttosto, sono segni visibili ed efficaci della nostra incorporazione in Cristo e nella sua Chiesa, in cui e per mezzo di cui la Chiesa pubblicamente professa e mette in pratica la sua fede. Quindi trasformare la diminuita colpevolezza soggettiva o la mancanza di colpevolezza di una persona nel criterio decisivo per l’ammissione ai sacramenti metterebbe a rischio la stessa regula fidei, la regola della fede, che i sacramenti proclamano e attuano non solo con parole ma anche con gesti visibili. Come potrebbe la Chiesa continuare ad essere sacramento universale di salvezza se il significato dei sacramenti fosse svuotato del suo contenuto?».

Quale Chiesa ha allora in mente il cardinale Burke (e gli epigoni)? Una Chiesa dalla parte delle élites dominanti (leggi: repubblicane). Non solo pro Trump (troppo facile) ma soprattutto a favore di una visione parziale della fede: stare dalla parte di chi ha il successo economico perché è segno del favore di Dio (protestantesimo in salsa cattolica), sempre contro l’aborto e mai una parola di carità per le donne (loro abortiscono, mica gli uomini). Soprattutto una Chiesa dove le leggi civili debbano rispettare le norme morali dettate dal Vangelo. Un salto indietro di qualche secolo. Ma non è detto sia possibile. Ed anche minacciare di non distribuire la comunione non è detto sia una mossa azzeccata. Vorrebbe dire avere di fronte un prete (un vescovo, un cardinale) che si arroga il diritto di leggere nel fondo del tuo animo – oggi di politico, domani di fedele – e forse non è esattamente questo il senso del Vangelo e della più autentica tradizione cattolica.

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).