Mina l'operatività delle nostre istituzioni
Taglio parlamentari, una riforma che mortifica la rappresentanza
La riforma costituzionale proposta dal governo Renzi nel 2016 più nota come “schiforma”, consisteva in una modifica complessiva ma pasticciata della Costituzione senza una visione organica delle norme. Se fosse entrata in vigore avrebbe determinato una Repubblica indistinta, né parlamentare né presidenziale: un ibrido. Al referendum gli elettori hanno risposto no e implicitamente hanno in grande maggioranza riconfermato l’impianto coerente e armonioso della Costituzione del 48.
Questa volta ci troviamo a dover dare un voto ad una legge che chi è in buonafede non può chiamare riforma, che modifica il numero dei deputati da 650 a 400 e dei senatori da 320 a 200: è stato detto giustamente che “un colpo di forbice“ non può essere una riforma.
Il tutto avviene senza una ragione logica e senza un perché, senza una spiegazione che sia in grado di collegare il numero al funzionamento il Parlamento come rappresentante del Paese nel suo complesso. L’interrogativo che tutti cominciano a porsi è come mai i parlamentari in stragrande maggioranza hanno votato a favore, perché qualche parlamentare responsabile e istruito pur esiste in questo consenso!
Ma tant’è. Ora la parola è agli elettori che come hanno bocciato quella “schiforma” nel 2016 così devono bocciare questo “spot” che rende il Parlamento incerto nella sua rappresentanza.
Tutti gli interventi, anche di bravi costituzionalisti, commentano positivamente o negativamente la proposta, ma nessuno si pone una domanda semplice semplice a cui bisogna pur dare una risposta: perché è necessario ridurre il numero dei parlamentari? Un elettore scrupoloso deve porsi questa domanda per dare un voto consapevole. Certamente non si può non tener conto del voto del Parlamento, ma l’elettore con il referendum deve appunto indagare sulle motivazioni del legislatore, giudicare e chiedersi perché solo il numero dei parlamentari è stato considerato ostativo per il ruolo fondamentale che il Parlamento deve svolgere per affermare la democrazia. In tutto il dibattito che si è svolta alla Camera e al Senato non c’è stata una risposta seria e compiuta a questa domanda. Le sole ragioni addotte sono state quelle sostenute dal Movimento 5 Stelle: il risparmio, cioè la riduzione dei costi della politica, e la riduzione dei rappresentanti della “casta” perché negativa e ostile, a loro parere, alla gran parte dell’opinione pubblica.
Una sorta di punizione, quindi. È stato detto da Montesquieu sul Sole 24 Ore che si tratta di ‹‹una iniziativa che nasce da una insana concezione istituzionale che non riconosce la funzione di rappresentanza della sovranità popolare del mandato parlamentare. Una concezione estranea alla nostra Costituzione››. Io aggiungo che l’iniziativa si collega ad un fenomeno tradizionale del nostro paese che è sempre sotto traccia che è l’antiparlamentarismo, pronto ad esplodere per rendere il Parlamento più debole. Si intende dunque minare il ruolo del Parlamento e far maturare con altre proposte di riforme costituzionali, presentate dai grillini ma finora messe da parte, una non meglio identificata “democrazia diretta” in base a teorie mal interpretate di Rousseau.
L’altra motivazione affidata a semplici ipotesi è il migliore funzionamento del Parlamento e addirittura un suo nuovo ruolo, ipotesi non verificate né verificabili e che restano un pio desiderio. Qualcuno è stato addirittura capace di dire che il numero dei parlamentari è inversamente proporzionale alla democrazia per cui è facile e banale rispondere che il numero di 600 in questo caso sarebbe ancora esagerato! Il problema del risparmio è una giustificazione infantile, addirittura provocatoria, per la verità rifiutata da molti che un po’ si vergognano nel sostenerla. Un calcolo economico finanziario offende la democrazia, bene supremo che non può essere condizionato e subordinato ad una diminuzione di spesa peraltro trascurabile e minima. Resta l’altra motivazione che è l’unica valida e strategica per il movimento grillino, il quale nel 2018 si è presentato agli elettori con un programma finalizzato a scardinare il sistema e con la principale proposta di cui discutiamo, certamente la più populista che si possa immaginare. Tutto quel programma è stato disatteso o rifiutato dopo l’esperienza Cinque Stelle al governo e ora resta soltanto questa proposta oltraggiosa per le istituzioni e per i cittadini, i quali hanno bisogno di una forte rappresentanza per partecipare da protagonisti e concorrere a determinare una unità istituzionale consapevole e qualificata sul piano politico propria di una Repubblica parlamentare.
Dunque l’unica motivazione per la diminuzione del numero di parlamentari resta quella dei grillini, che è da respingere nettamente perché offensiva per qualunque elettore che è pur sempre desideroso di dare l’adesione al “suo” partito, in modo da sentirsi rappresentato. È di tutta evidenza la perdita di rappresentanza di alcune regioni, quelle più piccole in particolare, che anche con una legge elettorale proporzionale – finora auspicata ma non approvata – avrebbero meno senatori e meno deputati. La domanda di nuovo è: perché mortificare la rappresentanza? E quali sono le finalità da raggiungere? Siccome la discussione in questi giorni è diventata più vivace è il caso di esaminare altri argomenti che sono stati addotti a favore della conferma della legge: tutti secondari ma nessuno che risponda alla nostra domanda. Al quesito ovvio e necessario che l’elettore deve porsi, cioè perché votare sì, nessuno è in grado di rispondere con una motivazione precisa e suadente. Si dice che il problema di un adeguato numero di parlamentari si pone da molti anni ed è addirittura contenuto nei programmi dei partiti.
È profondamente vero, tant’è che si è discusso nelle varie commissioni bicamerali e in diverse legislature, ma il numero minore o maggiore nelle proposte fatte è stato sempre collegato ad un disegno della Costituzione, ad una ragione, ad un criterio di modifica. Insomma il numero è collegato strettamente ad una proposta articolata per il funzionamento e la rappresentatività del Parlamento, tant’è che dalla IX legislatura in poi con la commissione Bozzi e con le tante commissioni il numero proposto risulta sempre diverso: di 514 deputati e 282 senatori; di 500 deputati e 200 senatori; di 518 deputati e 252 senatori; di 553 deputati e 186 senatori; di 508 deputati e 230 senatori; di 480 deputati e 120 senatori e per ultimo di 630 deputati e 95 senatori elettivi di secondo grado formalizzati nella riforma bocciata nel dicembre 2016. Le varie proposte non sono mai state approvate perché non hanno convinto i parlamentari e il numero è rimasto invariato. Dunque non può essere presa in considerazione una proposta che senza motivazione stabilisce un numero a casaccio segno evidente della mancanza di cultura istituzionale e soprattutto della mancanza di una idea della democrazia e del significato della rappresentanza.
Tutti riconoscono invero che se la legge fosse confermata con il referendum sarebbero necessarie altre modifiche costituzionali e una nuova legge elettorale, questo dimostra che il “taglio ai parlamentari” non regge. E tanti debbono domandarsi come mai il Parlamento per un anno intero non ha provveduto né a proporre né ad approvare le altre riforme e al tempo stesso come si può avere fiducia che quelle riforme indispensabili verranno effettivamente fatte? La crisi della rappresentanza e il cattivo funzionamento del Parlamento dipendono da motivi ben più seri e profondi che riguardano lo stallo dei partiti e il rapporto tra il cittadino e la politica e la credibilità delle istituzioni e non dal numero dei parlamentari. D’altra parte se il Parlamento affronta una crisi, che peraltro è comune ad altri paesi non va punito bensì rafforzato, per avere una rappresentanza più adeguata alle finalità della Costituzione.
C’è poi un argomento finale che fa giustizia su tutte le false motivazioni. Rispetto agli altri paesi europei il Parlamento italiano è al 23º posto nel rapporto tra la popolazione e il numero dei parlamentari: è un calcolo elementare che non si può contestare, come pure si tenta di fare, e quindi nel paragone si evidenzia che non abbiamo un numero eccessivo di parlamentari. Bisogna riconoscere che il numero attuale è contenuto ed equilibrato perché un legislatore illuminato nel 1963 fece una riforma saggia: la Costituzione prevedeva il rapporto del numero dei parlamentari con la popolazione, come quasi tutte le Costituzioni prevedono, e immaginando che l’aumento della popolazione avrebbe determinato, in quel caso si, un numero eccessivo, lo fissò in 630 deputati e 320 senatori come adeguato e rappresentativo: oggi ci troveremo ad avere un numero eccessivo se il calcolo si dovesse ancora fare rispetto alla popolazione. Quel numero fissato con saggezza è sotto certi aspetti immodificabile proprio perché equilibrato! L’unica cosa certa è che se diminuisse il numero dei parlamentari saremmo all’ultimo posto in Europa e quindi saremmo più deboli con conseguenze negative soprattutto per il Sud Italia. Per evitare un Parlamento incerto è necessario votare “No”.
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