Diviso ma non lacerato. Confuso e in attesa di. Tutto sommato, al di là delle intenzioni del segretario, è stata una Direzione inutile quella convocata ieri da Zingaretti per dare la linea al partito in vista del referendum e suonare la carica per le regionali. Tra le due, è venuta meglio la seconda. «No al governo a tutti i costi. Il Pd ci sta finché il governo fa cose utili» ha detto Zingaretti lanciando poi il messaggio che più conta nella prossima settimane: «Gli elettori pensino al voto utile, votare altri al di fuori del Pd significa disperdere voti e risorse».
Sono giorni che il Nazareno manda segnali di insofferenza e fastidio a Palazzo Chigi. Almeno dal 20 agosto quando le liste delle regionali si sono chiuse senza quelle alleanze “sul territorio” che avrebbero potuto chiudere la partita delle regionali confermando il 4-2 attuale (quattro regioni al centrosinistra e due al centrodestra). Le tre giornate di Di Maio in Puglia in piazza con la candidata Laricchia proprio lui che aveva caldeggiato – o fatto finta? – l’accordo locale, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Persino Goffredo Bettini, sponsor del governo giallorosso nonché l’uomo che più tutti sussurra alle orecchie del segretario, si è arrabbiato.

Il ritorno sulla scena del presidente Conte non ha diradato la nebbia. Anzi. L’affermazione «il voto delle regionali non condizionerà il governo che ha sfide importanti davanti», ha irritato più che tranquillizzato. Per mettere a tacere “illazioni” e “ retroscena”, Conte ha aggiornato il programma e stasera sarà ospite d’onore alla Festa dell’Unità di Modena. Ha rivisto la missione a Beirut e alle 20.30 sarà sul palco. Vedremo l’effetto che farà al popolo del Pd dopo aver liquidato Draghi come “stanco” e aver ricandidato il Capo dello Stato ad un secondo mandato. La Direzione, dunque. Convocata per chiarire la posizione sul referendum, ha lasciato le cose come stavano: ognuno faccia poi come creda «perche la vittoria del No potrà creare problemi ma non farà cadere il governo». Per evitare strappi irrimediabili, la Direzione, convocata in streaming da mezzogiorno alle 17, si è conclusa con due diversi voti. Uno per la relazione del segretario. Uno per l’ordine del giorno sul referendum. Artificio ideale per evitare di zavorrare Zingaretti alle divisioni ormai palesi sul taglio dei parlamentari.

L’ordine del giorno sul Referendum è passato con un largo consenso: 188 favorevoli, 13 contrari, 8 astenuti. Il segretario ha cercato il salvataggio in corner rispetto al crescente Fronte del No (che sabato si troverà in piazza) spiegando che il “Si non c’entra nulla con il risparmio” argomento caro a Di Maio, alfiere del Sì, vieppiù populista e fasullo, bensì “è il primo step di un percorso di riforme più ampio”. Zingaretti ha annunciato che saranno chieste “le firme per il superamento del bicameralismo perfetto” secondo la proposta di Luciano Violante di un “bicameralismo differenziato”. Dunque una nuova stagione di riforme condotta a piccoli passi, uno dopo l’altro, che va avviata ad ogni costo. È la linea concordata con Dario Franceschini (“il Sì deve essere il punto di partenza di una nuova stagione di riforme che deve avvenire in collaborazione con le opposizioni”) che ha tenuto nella forma ma non ha convinto. “Oggi diciamo sì, ma tanto poi nell’urna saranno tutti no” assicura una deputata della corrente del ministro della Cultura che ha preso parte alla Direzione.

Il fatto è che spiegazioni e distinguo non sono stati sufficienti a ricompattare il partito. Big di peso come Zanda, Damiano, Nannicini, Cuperlo hanno confermato e motivato il loro No. Il senatore Verducci, area Orfini, la più critica e severa, ha parlato chiaro. «Questo taglio favorirà la destra che ha pulsioni illiberali e autoritarie in Italia e ovunque. Per rispetto della comunità del Pd intervengo a questa direzione, ma non parteciperò al voto finale perché questo organismo è svuotato di senso dopo che il Sì ufficiale è già stato annunciato a mezzo stampa e TV, nonostante il patto di un anno fa sia carta straccia visto che la legge elettorale è in alto mare».

Politicamente il giudizio è ancora più duro: «Si affronta questo taglio con un tatticismo esasperato pur di blindare l’alleanza strategica coi 5S, mentre invece questo voto è uno spartiacque fondamentale che riguarda la nostra identità e cultura politica, il nostro rapporto con la società. Qualunquismo e antipolitica sono nostri nemici mortali». Alto gradimento invece per la relazione del segretario (213 si su 219 votanti) che ha dettato l’agenda di governo: Riforme, Recovery Fund e Mes. “Un trionfo” è il commento del Nazareno. Zingaretti si è detto “molto soddisfatto per la bella discussione”. In realtà è tutto rinviato. Al pomeriggio del 21 settembre. Al verdetto delle urne.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.