Mariastella Gelmini, senatrice di Noi Moderati- Centro Popolare, prova a tracciare con il Riformista una rotta per uscire dalla sterile contrapposizione destra-sinistra sul caso Almasri, condito da polemiche di scuderia.

Almasri andava rimandato in Libia, le autorità hanno seguito l’iter corretto?
«Ieri i ministri Nordio e Piantedosi hanno chiarito, senza mezzi termini, quello che è accaduto. Verificata la scarcerazione e la presenza in Italia di un personaggio come Almasri, con accuse sulle spalle così gravose, la decisione più corretta era certamente quella dell’espulsione. Ed è stata la scelta fatta giustamente dal governo italiano perché c’era una ragione di sicurezza nazionale evidente. Se sono vere quelle accuse, si tratta di un criminale e averlo in giro per l’Italia non sarebbe stato opportuno. In secondo luogo, penso ai tanti cittadini italiani che vivono e lavorano in Libia, abbiamo un interesse strategico a mantenere buoni rapporti con questo Paese. La politica estera, purtroppo, può costringere a volte a prendere decisioni difficili, complesse, assunte a difesa dell’interesse nazionale. Anche per questa ragione credo che la vicenda della notifica dell’indagine nei confronti della Presidente Giorgia Meloni, dei Ministri e del Sottosegretario Mantovano sia stato un clamoroso errore della Procura di Roma. Chiaramente non si è trattato di un atto dovuto, ma voluto. Sarebbe bastato, infatti, attendere 24 ore e valutare quella vicenda alla luce delle informative già previste una settimana fa in Parlamento di Nordio e Piantedosi».

Si parla di ragion di Stato. Ci sono ragioni di opportunità, accordi di sicurezza che riguardano anche il controllo costiero, sui migranti?
«È evidente che tutto ciò che riguarda i Paesi del Nord Africa per qualsiasi governo italiano, di qualsiasi colore, ha poi un risvolto legato alle questioni migratorie. Autorevoli esponenti del centrosinistra, con onestà intellettuale, in questi giorni hanno detto chiaramente che affrontare questi temi significa anche tener conto delle problematiche relative alle politiche migratorie. Il punto, a mio avviso, è un altro, ovvero la responsabilità che la sinistra si è assunta su questa vicenda. Perché il Paese può essere governato dal centrodestra o dal centrosinistra, ma finora ogni governo ha dovuto misurarsi su tali questioni. Questa strumentalizzazione fa male non solo al Paese, ma fa male anche alla sinistra perché quando sarà chiamata a governare si troverà a dover affrontare problemi che riguardano la politica estera, che quindi riguardano questioni politiche che investono l’interesse nazionale, e dovrà essere sottoposta al vaglio di altri poteri dello Stato che non sono connessi alla volontà popolare, come la magistratura. Le politiche migratorie e la tutela dell’interesse nazionale non possono essere messe nelle mani che della politica e dei governi democraticamente eletti. Altrimenti si genera un caos dal quale non usciamo. Faccio pertanto un appello alla sinistra riformista affinché tenga un profilo diverso».

Le incursioni ripetute della magistratura sulla politica sono una costante. Sempre più spesso i tribunali dicono alla politica cosa si può fare e cosa no. Una stortura della democrazia?
«È di tutta evidenza che una parte minoritaria della magistratura persegue disegni politici. La stessa vicenda dell’Albania ne è un’evidente dimostrazione. È certamente una stortura della democrazia, ma è anche il frutto di una responsabilità della politica che troppo spesso in passato ha rinunciato a difendere il primato della politica. Siamo diventati un sistema in cui dalle politiche ambientali alle decisioni strategiche sulle infrastrutture, dalle decisioni sugli scioperi e le precettazioni fino alle politiche migratorie vogliono essere decise da un pezzo minoritario della magistratura. È una china molto pericolosa perché certe decisioni devono essere politiche, cioè espressione della volontà popolare».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.