Nonostante il sole cocente e il caldo desertico l’unità del centro-destra italiano non appare neanche sotto forma di miraggio. La manifestazione di coalizione andata in scena a Roma il 2 giugno scorso, alla presenza di Matteo Salvini, Giorgia Meloni e un poco convinto Antonio Tajani e al ritmo di “Conte Conte vaff…” ed “elezioni subito”, sembra un ricordo confuso e la stessa piazza di domani, sempre nella Capitale ma con lo slogan ‘Insieme per l’Italia del lavoro’, sa di allucinazione estiva. La verità è che il centro-destra inteso come coalizione politica unita da prospettive e programmi politici non esiste, se non come cartello elettorale valido per le elezioni locali. A dividere Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, oltre le legittime ambizioni personali dei tre leader, ci sono almeno due nodi dirimenti: il Mes e l’atteggiamento da tenere come opposizione.

Ieri Silvio Berlusconi, tornato rilassato e rafforzato nei suoi convincimenti liberali ed europeisti dal lungo soggiorno nizzardo, ha insistito sul sì al Mes e aperto a un nuovo governo, sempre in questa legislatura. Altro che opposizione sovranista ed elezioni subito. Secondo l’ex premier, che parla anche da imprenditore, il nostro Paese deve immediatamente accettare il Mes e la sua linea di credito di 36 miliardi da spendere nel settore sanitario, «uno strumento che avvantaggia l’Italia più di ogni altro in Europa». Berlusconi definisce “imperdonabile” un eventuale rifiuto al Mes e domanda retoricamente (ai suoi alleati, finora contrarissimi): «Ma davvero dobbiamo rinunciare ai 2,725 milioni destinati alla sanità della Campania e ai 2.450 milioni previsti per la Puglia?». Le due regioni non sono state citate a caso: trattasi delle due grandi sfide elettorali nel Sud Italia alle elezioni regionali di settembre. In pratica il leader di FI è pronto a dire agli elettori campani e pugliesi che gli amici della Lega e di Fratelli d’Italia sono stati responsabili del mancato rafforzamento delle loro strutture sanitarie, tema che a inizio autunno, con lo spettro del ritorno del Coronavirus, potrebbe suscitare non poco interesse ed emotività, spostando consenso. Salvini e Meloni, sovranisti ed euroscettici, invece continuano a sostenere che l’abbuffata di miliardi del Mes sia il classico cavallo di Troia della Troika, la fine della nostra sovranità a favore dei burocrati di Bruxelles. Convincimento ancora vigente se nella Lega diversi big hanno così commentato: «Sul Mes la posizione di Forza Italia è contro l’interesse nazionale italiano».

Ma soprattutto Berlusconi ha aperto a un nuovo governo: «Se in Parlamento si creassero le condizioni per una maggioranza diversa e più efficiente, andrebbe verificata». Con quali forze governerebbe Forza Italia? A giudicare dalle parole dell’ex cavaliere l’unico veto va al Movimento 5 stelle, quindi la disponibilità è ampia. Musica per le orecchie del premier Giuseppe Conte che plaude a una Forza Italia “costruttiva”. Ennesimo siluro ai timpani di Salvini e Meloni, che vogliono staccare la spina il prima possibile all’esecutivo di Conte e alla legislatura per correre verso le urne, entrambi candidati a sottrarre all’altro il ruolo di premier investito dal centro-destra. Lo spettro di un “governo di unità nazionale”, possibilmente con un nuovo e autorevole premier, in autunno, a crisi economica avanzata ed elezioni regionali archiviate, è forte. Forza Italia è considerata della partita. E le smentite di rito non rassereno più di tanto gli alleati. In particolare Salvini, in calo nei sondaggi e costretto a fare campagna elettorale per i non graditi Stefano Caldoro e Raffaele Fitto in Campania e in Puglia, dove il Capitano vorrebbe fare un ticket che la Meloni gli nega.

La Lega non è riuscita a imporsi sugli alleati e non ha candidati governatori al Sud, pezzo d’Italia nel quale Salvini sembra vivere una battuta d’arresto a livello di consenso. I suoi recenti comizi a Mondragone e Andria hanno ospitato quasi più contestatori e polemiche che sostenitori e applausi, in un clima lontano dall’osanna del recente passato. Come se il leitmotiv sull’immigrazione non facesse più presa su un Paese già tramortito dal Covid e dall’annessa crisi economica e adesso alla ricerca di liquidità immediata. Forse la sua promessa «non vedo l’ora di occuparmi ancora di immigrazione» non è stata l’aiuto che i neo-cassintegrati e disoccupati di Andria si aspettavano. Così come il sopralluogo di Salvini ieri al campo nomadi della Magliana non ha probabilmente intercettato la sofferenza del settore imprenditoriale e turistico della Capitale. E Giorgia Meloni incalza.

Ma se il centro-destra d’opposizione stenta, la maggioranza di governo soffre. Il Partito Democratico e il Movimento 5 stelle non hanno trovato la quadra per le elezioni regionali, dove rischiano di andare divisi e da avversari, come se non governassero insieme il Paese. Come se la maggioranza giallo-rossa fosse solo una temporanea e raccogliticcia dinamica parlamentare priva di respiro. Conte deve accelerare sul Dl Semplificazione, la cui attesa sta spazientendo il ceto produttivo, mediare tra (alcuni) democratici e i grillini sul caso Regeni per il commercio con l’Egitto, e prendere tempo sul Mes, sperando che nel frattempo il rivale e semi-leader ombra pentastellato Luigi Di Maio rassereni i parlamentari, rendendoli favorevoli al soccorso europeo.

Il Pd ha iniziato a spazientirsi, un po’ perché la fase 2 del governo stenta a ingranare, un po’ per la convivenza con i tormentati grillini, e adesso anche per il protagonismo del premier che avrebbe pure convocato gli Stati Generali senza informare gli alleati. Ieri il segretario democratico Nicola Zingaretti ha incontrato Conte, è stato un faccia a faccia dal sapore di penultimatum, al termine del quale il premier ha promesso la rapida approvazione del Dl Semplificazione e dichiarato che il governo adesso inizia a “correre”. Bisogna vedere se i democratici, a partire dal ministro Dario Franceschini, vogliono ancora camminare su questi binari.