Dopo il post dell'influencer il dibattito torna sui diritti civili
Che cos’è il “Modello Marche”: suicidio assistito, diritti civili e aborto su cui punta il dito Chiara Ferragni
Il post di Chiara Ferragni con cui ha preso posizione sul tema dell’aborto ha segnato l’agenda del dibattito politico di una nuova giornata di campagna elettorale. E si torna a parlare di diritti civili in particolare nella regione Marche. L’influencer ha ripostato sul suo profilo un contenuto di The Vision: una stanza di ospedale con il lettino nero e la scritta “Fdi ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche, che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni”. La Ferragni poi ha aggiunto: “Ora è il nostro tempo di agire e far sì che queste cose non accadano”. Questo è bastato per riportare al centro del dibattito politico il delicato tema dell’aborto che ancora troppo spesso è negato in tutta Italia.
Perché si parla di “Modello Marche”? La regione è governata da Fratelli d’Italia, il partito che da settimane è in testa ai sondaggi per le prossime elezioni. Giorgia Meloni ha scelto Ancona come palco per dare il via alla campagna elettorale del suo partito. Qualcuno, come Laura Boldrini, ha definito la regione il “laboratorio dell’ultra-destra” e, come riporta Repubblica, ne ha pronunciato il mea culpa della sinistra: “Dal 2008 – ragiona l’ex presidente della Camera, che è nata a Macerata – non abbiamo saputo intercettare i bisogni delle persone. Queste zone sono state desertificate, tante aziende hanno chiuso, altre hanno delocalizzato. Chi dei nostri era sul territorio, non ha saputo dare risposte”.
“Modello marche” si riferisce ai vari episodi che hanno visto la regione dura e controcorrente su alcune scelte che riguardano i diritti civili. Nel 2021 la regione si è opposta alla pillola Ru486, quella per l’interruzione della gravidanza, nei consultori. “Fratelli d’Italia metterà a rischio il diritto all’aborto”, ha scritto il Guardian pochi giorni fa. A questo si aggiunge anche un gran numero di medici obiettori di coscienza che, sebbene la legge preveda il diritto all’aborto, poi nei fatti è davvero difficile riuscirci.
“Concordo con Chiara Ferragni sulla questione dell’obiezione di coscienza nelle Marche, è una situazione che denunciamo e che va avanti ormai da anni, da quando c’era il governo di centrosinistra e che negli ultimi due anni, con il governo di centrodestra, si è ulteriormente accentuata”, ha detto all’Ansa Marte Manca, attivista del movimento femminista Non Una di Meno Transterritoriale Marche. Manca, già il 28 settembre 2021, nella Giornata Internazionale dell’Aborto Sicuro, insieme ad altre esponenti del movimento, aveva manifestato davanti a Palazzo Leopardi, una delle sede del Consiglio regionale a sostegno dell’Aborto libero, gratuito e farmacologico.
“Nelle Marche c’è un elevato tasso di obiezione di coscienza che rende complicato per le donne accedere all’Ivg, l’interruzione volontaria di gravidanza – dice l’attivista – una situazione decennale, che a seconda delle strutture ospedaliere oscilla tra il 70% e il 100% di obiezione. Purtroppo non abbiamo dati aggiornati sull’obiezione di coscienza, gli ultimi risalgono al 2020, in quanto l’Asur non ce li ha più forniti – aggiunge – a già all’epoca era emersa chiaramente la problematicità della situazione, tanto che a Jesi, ad esempio, l’obiezione di coscienza tocca livelli del 100% (10 ginecologi su 10 e 20 ostetriche su 20)”. Oltre alle criticità sul fronte dell’Ivg, l’associazione torna alla carica sulla “mancata applicazione delle linee di indirizzo ministeriali per la Ru486, non recepite nelle Marche, le quali prevedono la possibilità di accedere all’Aborto farmacologico non solo negli ospedali, ma anche tramite consultori e fino a nove settimane di gestazione. Nelle Marche però – sostiene – questa possibilità è prevista solo negli ospedali di Macerata, Urbino e Senigallia e solo per le donne residenti e fino a sette settimane di gestazione e non nove”.
Subito è arrivata la replica di Fratelli d’Italia. “Se la stampa e le influencer vogliono occuparsi seriamente dell’aborto nella regione Marche, dovrebbero informarsi sulla base dei dati e consultare le relazioni annuali al Parlamento sulla legge 194. Per esempio, leggendo l’ultima firmata dal ministro Speranza si evince che nelle Marche l’offerta del cosiddetto servizio di Ivg è di gran lunga superiore a quella nazionale: le interruzioni volontarie di gravidanza, possono essere effettuate nel 92,9% delle strutture sanitarie mentre la media italiana è del 62%”. Lo dichiarano Isabella Rauti, responsabile del dipartimento famiglia di Fdi ed Eugenia Roccella candidata nelle liste di Fratelli d’Italia.
“Per quanto riguarda gli obiettori – aggiungono – il numero di aborti a carico dei medici non obiettori è 0,8 aborti a settimana, non sembra quindi che l’obiezione di coscienza, diritto civile previsto dalla legge 194, sia un ostacolo. Per quanto riguarda il cosiddetto ‘aborto chimico’ (pillola RU486), invece, va ricordato che le linee guida del Ministero non sono vincolanti (infatti l’Emilia Romagna ne ha sempre avute di proprie, diverse da quelle nazionali); e soprattutto che quelle attuali, emanate dal ministro Speranza, non rispettano la stessa legge 194, quando prevedono che l’aborto possa essere effettuato nei consultori ovvero fuori dalle strutture ospedaliere. È doveroso ricordare anche che la pillola Ru486 è un aborto più economico per il servizio sanitario ma più pericoloso per la salute delle donne, considerati i numerosi effetti collaterali e una mortalità più alta, come emerge dalla letteratura scientifica in materia”.
Ma la regione non si è fermata al tema dell’aborto. Lo scontro sui diritti nelle Marche riguarda anche il suicidio assistito, pratica riconosciuta nel 2019 dalla cosiddetta sentenza Cappato della Corte costituzionale. Ben tre pazienti si sono dovuti scontrare con il comitato etico della Regione, tra cui il noto Federico Carboni (conosciuto alle cronache con “Mario“), per la somministrazione del farmaco e – l’ultima in ordine di tempo – di Antonio. A sentirsi poco tutelata è anche la comunità Lgbtqia+. La Regione non ha infatti autorizzato il patrocinio per la manifestazione del Pride perché considerato un ”evento politico”.
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