Era l’11 luglio del 1982 e l’Italia si laureava per la terza volta Campione del Mondo di Calcio. Il trionfo in Spagna, a Madrid, sotto gli occhi e l’esultanza del Presidente della Repubblica Sandro Pertini. La squadra era allenata da Enzo Bearzot e di quell’avventura, partita sotto pessimi auspici e continuata con la stampa contro, sono rimaste indimenticabili e iconiche tante immagini: su tutti l’urlo al gol in finale di Marco Tardelli e lo scopone di Bearzot con Pertin, Zoff e Causo sull’aereo di ritorno a Roma. L’allenatore con la pipa, a 40 anni da quello storico successo, è ancora impresso nell’immaginario come un professionista d’altri tempi, un hombre vertical. “Sono schifato dal miele con cui adesso mi vanno ricoprendo; ci soffoco in quel miele”, disse a La Repubblica dopo la vittoria.

Bearzot era nato ad Aiello del Friuli, in provincia di Udine, il 26 settembre del 1927. Aveva esordito nel Pro Gorizia nell’immediato Dopoguerra. Dal 1948 passò all’Inter, dove la sua carriera di mediano destro approdò ai massimi livelli. Esordì in Serie A in un Inter-Livorno del 1948, finita 3 a 1. Dopo tre anni il trasferimento al Catania. Con la maglia degli etnei fu tra i protagonisti della prima storica promozione del club in Serie A. Passò nel 1954 per la prima volta al Torino. Dopo un’altra parentesi di un anno all’Inter, dal 1957 al 1964 tornò all’ombra della Mole. Fu capitano dei Granata per sette stagioni.

Giocò un’unica partita in Nazionale, al Nepstadion di Budapest, in marcatura sul fenomeno ungherese Ferenc Puskas. Dopo la lunga militanza in campo fu sempre con il Torino che cominciò il suo apprendistato da allenatore. Bearzot fu vice dell’iconico Nereo Rocco. A inquadrarlo nei piani Azzurri ci pensò Artemio Franchi: lo storico dirigente sportivo lo destinò dapprima alla panchina del Prato e poi a quella della Nazionale Under 23. Bearzot divenne allora assistente di Ferruccio Valcareggi ai Mondiali di Messico 1970 e Germania Ovest 1974, l’anno dopo affiancò Bernardini alla guida della nazionale maggiore e a fine 1977 subentrò in panchina. Ai Mondiali in Argentina del 1978 l’Italia si classificò quarta.

Quattro anni dopo l’impresa in Spagna dopo la qualificazione ottenuta a stento. Allenatore in seconda era Cesare Maldini. Bearzot era ferocemente criticato dalla stampa: accusato di aver convocato Paolo Rossi, appena tornato in campo dopo la squalifica per due anni per lo scandalo del Totonero, preferito al capocannoniere della Serie A Roberto Pruzzo. Il clima portò la squadra a richiedere il silenzio stampa. “Le ferite che qualcuno mi ha aperto non si cicatrizzeranno mai. Sono uno che crede nei valori umani, davanti a chi li dimentica non ho compassione”, disse a La Repubblica.

Bearzot, nella seconda fase del torneo, rinvigorì la squadra con gli innesti di Gabriele Oriali e Giuseppe Bergomi. Rossi esplose definitivamente e gli Azzurri prevalsero su Argentina, Brasile, Polonia e Germania Ovest in finale. La vittoria storica nella finale sul campo del Santiago Bernabéu di Madrid. La Nazionale fu l’unica a battere una dopo l’altra nella storia del torneo le detentrici dei tre precedenti titoli: Argentina, Germania Ovest e Brasile. Due anni dopo la Nazionale mancò la qualificazione agli Europei del 2018 e si fermò agli ottavi in Messico 1986. Il suo contratto arrivava fino al 1990 ma Bearzot si dimise. Il suo successore fu Azeglio Vicini. L’11 luglio del 1993 alla guida della Nazionale Over-35 vinse il titolo mondiale a Trieste contro l’Austria. Dal 2002 al 2005 è stato presidente del Settore Tecnico della Federazione Italiana Giuoco Calcio.

Enzo Bearzot è morto a Milano, a 83 anni, il 21 dicembre 2010. Venne seppellito nel cimitero di Paderno d’Adda. In suo onore è stato istituito il Premio Nazionale Enzo Bearzot per il miglior allenatore italiano dell’anno. La figlia Cinzia, docente di storia greca all’Università Cattolica di Milano, lo ha raccontato all’Ansa come un uomo colto e testardo, padre severo e intransigente, nonno affettuoso. “Noi abbiamo sofferto parecchio della gogna mediatica che si era scatenata, ma a lui non interessava essere amato dalla stampa e dal pubblico. Credeva in Paolo Rossi, nella sua innocenza, e decise di aspettarlo. La sua fu una scommessa azzardata, credo che molto abbia giocato la sua testardaggine. Ma i fatti gli hanno dato ragione”.

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Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.