Sventola la bandiera a mezz’asta su Buckingham Palace. “With deep sorrow”, la Regina Elisabetta ha annunciato la morte del “beloved husband”, il Principe Filippo, Duca di Edimburgo. Era prossimo ai cento anni, numeri quasi secolari per il protagonista di una storia che travalica la misura del tempo, se appena si ricorda che aveva sposato la futura Queen il 20 novembre del 1947, quando lei aveva 21 anni e lui 26, e che lei ha superato la durata sul trono della Regina Vittoria.

È stato il principe consorte per più di settant’anni, una vita un passo indietro rispetto alla regale metà che per i sudditi, il Commonwealth e il mondo era ed è tutto. Un destino quasi pirandelliano, da personaggio condannato a non essere l’Autore di se stesso, la scena ufficiale, con i riti, le etichette, le strette di mano, le inaugurazioni, e il back che resta inevitabilmente nell’intimità di un’anima e delle stanze del Castello di Windsor, dove è morto, e di Buckingham Palace. Ci lascia con questo tratto di devozione ininterrotta, la costrizione in un ruolo che lo ha rinchiuso in una vita-cerimoniale e, però, al tempo stesso, ne ha fatto il compagno-ombra di una Regina che quando si voltava sapeva, in ogni momento, che lui c’era. Da tanto e sempre, da quando l’aveva conosciuto – lei peraltro lontanissima cugina – nel 1939 in una base della Royal Navy dove il padre Giorgio VI l’aveva portata con la sorella per una visita e Filippo era stato incaricato di intrattenere le ospiti.

Qualcosa doveva essere scoccato se lei gli aveva scritto lettere su lettere mentre lui se n’era andato in guerra, nel Mediterraneo, dove aveva partecipato anche alla battaglia di Capo Matapan che per la nostra Marina non fu molto fortunata. Era arrivato in Inghilterra dopo traversie complicate e drammatiche. Come capita alle teste coronate e ai più vicini, svariati incroci di sangue, danese, russo, prussiano, figlio di Andrea di Grecia e Danimarca e di Alice di Battenberg, casata tedesca, Filippo era nato a Corfù il 10 giugno del 1921 ma dopo 18 mesi aveva dovuto iniziare suo malgrado un’odissea perché la rivoluzione aveva costretto all’abdicazione il Re Costantino I. Un cammino tortuoso, la madre finisce in manicomio, lui passa per Parigi e si ritrova sotto l’ala protettiva dello zio Louis Mountbatten, che sarà l’ultimo viceré dell’India (e che un giorno del 1979 l’Ira farà saltare in aria) – mentre le sorelle finiscono in matrimoni all’ombra delle croci uncinate – e per lui una guida che ne orienterà la rotta. Forse, anche quella verso Elisabetta.

Quel Royal Wedding ha segnato un prima e un dopo. Nel 2012, in occasione del Giubileo Diamante, la Regina disse che «il Principe Filippo è famoso per aver rifiutato complimenti di qualsiasi tipo. Ma per tutto il tempo è stato una forza e una guida costanti». D’altronde, nessuna crepa è apparsa negli anni, sì qualche gossip, ma appena sussurrato da quei tabloid briganti di Fleet Street con cui Filippo aveva da subito ingaggiato una guerra frontale che nulla gli aveva risparmiato. Sapeva bene ciò che lo attendeva, lui così dinamico, esuberante, votato allo sport, la vela, i cavalli, un carattere forte e irascibile, uno portato a dire quello che pensava, con tutto quel pedegree alle spalle… doveva essere veramente innamorato di Lilibet – a lui solo era concesso di chiamarla così – per fare un passo che non gli avrebbe dato nessun potere, anzi lo avrebbe costretto a rinunciare a tutti i diritti ereditari che aveva e alla religione ortodossa per quella anglicana, e lo avrebbe costretto in una forma, l’unica liberazione essendo, la vela, la caccia, gli adorati giri automobilistici che dovevano essere piuttosto veloci se una volta la Regina gli aveva chiesto di andare più piano e, peraltro, lui non aveva esitato a ribattere che se non le andava bene poteva scendere.

E così pure le gaffes, con tutti, diplomatici, ospiti illustri, aborigeni a cui non esitò a domandare se tirassero ancora le frecce, un parlamentare nero dell’United Kingdom a cui chiese di quale Parlamento fosse membro. Che non fossero boccate d’aria? Una liberazione anche sprezzante, da jongleur che getta il sasso nello stagno, almeno quello, salvo subito ricomporsi? Filippo è stato un pilastro della Royal Family, un cechoviano comprimario che con qualche fremito che poteva sembrare scomposto è rimasto al suo posto, in una famiglia in cui ogni tanto qualcuno decide di uscire dal seminato, da Edoardo VII con Wallis Simpson a Harry con Meghan. Ed è stato il padre di quattro figli, Anna, Carlo, Edoardo, Andrea.

Ne ha accompagnato le traiettorie spesso ingovernabili, anche con dissidi aspri, come con Carlo, troppo algido e intellettuale per i suoi gusti, capace di intrigarsi in relazioni che lui reputava disdicevoli e non all’altezza della Royal Family (un’antipatia che, a dispetto di certe voci, non ha riguardato Lady Diana, di cui pure sappiamo l’esito tragico della storia). Un giorno, senza la pressione degli scoop, quando si rifarà la storia di Buckingham Palace si potrà misurare il suo ruolo, così lontano dalla nostra quotidianità, simulacro di un mondo remoto e residuale, ed eroico co-protagonista di un potere e di una cerimonia simbolica che, pur avviluppati come siamo nelle nostre profane democrazie, per un momento ancora ci affascina.