Ricordo la soddisfazione negli occhi degli infermieri e dei medici nel consegnarmi una cartella clinica dall’happy end quasi come fosse guarito uno di loro”. Piero Chiambretti racconta in una lunga lettera a Repubblica il suo calvario dopo essere risultato positivo al coronavirus. Il comico e conduttore televisivo era stato ricoverato il 16 marzo d’urgenza a causa di tre focolai di polmonite all’ospedale Mauriziano di Torino. Con lui la madre Felicita, poetessa, che non ce l’ha fatta. Chiambretti è stato dimesso il 30 marzo e in una nota stampa diffusa da Mediaset dichiarava: “Ringrazio con tutto il cuore il personale sanitario del Mauriziano di Torino che mi ha assistito e curato con abnegazione, passione e grande umanità in questi lunghi giorni di malattia e di sconforto psicologico”. Nella sua intervista al quotidiano Chiambretti celebra soprattutto il lavoro del personale sanitario: “Oggi che sono a casa e leggo che 160 tra medici, infermieri e personale sanitario, hanno perso la vita per salvare quelle altrui che in molti casi neanche conoscevano, mi si stringe il cuore e penso come il nostro Paese ha in queste persone degli esempi da cui imparare tanto”.

Il racconto del conduttore comincia dal giorno del ricovero: “Un giorno che non potrò mai dimenticare. Il pronto soccorso, i suoi rumori, la confusione di medici e malati, le barelle, le mascherine, sensazioni di qualcosa che avevo visto alla televisione, ma che dal vivo erano un’altra cosa. Più definite, più realistiche e tangibili, che allontanavano il rumore fastidioso delle parole della tv, così vuote e lontane. Passare dall’interessarsi degli sviluppi del virus, ad esserne colpito, cambia la prospettiva in modo netto”. Chiambretti usa un lessico bellico, come spesso è stato fatto durante l’emergenza, e parla della struttura come di un “ospedale da campo”, dove gli occhi dei pazienti erano “spalancati, terrorizzati, in certa di qualche segnale di conforto”. Un sostegno offerto senza risparmio, sottolinea più volte, dal personale sanitario. Infermieri e medici bardati da capo a piedi che “si fecero partecipi del nostro dramma” che sono “esempi di un’italia meravigliosa sono diventati familiari”.

“La cosa che subito mi colpì – ha raccontato Chiambretti – di questi angeli fu l’età: tutti giovanissimi con una energia che trasmettevano ogni volta che li chiamavi, sempre sorridenti e rassicuranti, anche laddove le condizioni di salute non erano buone. Non avevano ricette per una pronta guarigione, non avevano la pillola magica che fa tornare tutti a casa, ma la loro efficienza mischiata alla grande umanità erano una medicina molto più forte delle medicine sperimentali che somministravano. Sempre presenti, il giorno come la notte, sempre vestiti dalla testa ai piedi con le maschere protettive che lasciavano evidenti segni in faccia”.

Lo showman ha precisato come il lavoro dei sanitari sia stato impeccabile anche con la madre e ha smentito di aver ricevuto un trattamento di favore: “Nulla di più falso. Dentro quelle stanze eravamo tutti uguali con un obiettivo comune: salvare la pelle. Pensare che ci fossero dei favoritismi è un torto che si fa a persone che oltre a lavorare in condizioni difficili hanno perso la vita per tanti di noi”. E poi ha dichiarato: “La mattina successiva la morte di mia mamma, io miracolosamente ho cominciato a stare bene (grazie Felicita), tanto da essere dimesso dopo una settimana e due tamponi negativi. Era un lunedì pomeriggio, quando impreparato a lasciare l’ospedale sono tornato a casa in taxi in pigiama, considerato che portato via d’urgenza quindici giorni prima a sirene spiegate, non avevo neppure una borsa”. Ieri su Instagram Chiambretti ha postato un selfie con una mascherina della curva maratona del Torino, la sua squadra del cuore.

 

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