Ritengo utile ricordare e denunciare, per l’ennesima volta, che il Decreto Legislativo 56/2017 (Codice Appalti) è uno strumento illegittimo infatti il Parlamento aveva approvato una delega al Governo per produrre un Decreto Legislativo con scadenza definitiva il 10 aprile 2017; il primo Decreto legislativo, il numero 50, fu approvato il 18 aprile del 2016 e, dopo una evidente verifica delle assurdità in esso contenute, fu rimodulato e approvato il 19 aprile del 2017 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 5 maggio del 2017. Appare evidente che il provvedimento avendo concluso il suo iter formale dopo la data del 10 aprile 2017 (data di validità della delega al Governo) è, a tutti gli effetti, non valido.

Dopo questa banale constatazione mi chiedo come mai il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in questi ultimi cinque anni sia rimasto assente di fronte alla stasi o al virulento contenzioso generato dalle gare bandite dalle varie stazioni appaltanti e come mai l’Anac ha redatto anche delle linee guida sull’attuazione del nuovo Codice senza rendersi conto che è davvero strano indicare codici comportamentali nell’attuazione di un provvedimento che incide, o meglio incideva, sul PIL per oltre il 12%, senza rendersi conto che quello delle costruzioni è un mondo che, in assenza di regole corrette, blocca automaticamente un indotto produttivo essenziale per la crescita del Paese.

Evitiamo, quindi, tentativi di rivisitazione parziale; la cosa peggiore in un Codice degli appalti è ricorrere a compromessi o a logiche procedurali che rendono difficile l’espletamento della gara e dilatano l’arco temporale delle procedure al punto tale da rendere non conveniente la realizzazione di un’opera. Il mondo dell’Ance (associazione costruttori), ad esempio, ha sempre non condiviso delle logiche procedurali per le opere tipologicamente più grandi, e questo perché la presenza di iscritti all’Ance per oltre il 90% è fatto da imprese piccole; ma questo atteggiamento, forse condivisibile come difesa degli iscritti alla associazione, proprio in questi anni di grave stasi e della mancata conclusione delle procedure di gara ha dimostrato i limiti ed i rischi per l’intero mondo delle costruzioni.

Si è riusciti, unico caso nell’Unione Europea e nel mondo, a distruggere il concetto di General Contractor e contestualmente è venuta meno la miriade di imprese piccole e medie che direttamente e indirettamente beneficiavano di un tale istituto. Non ci dimentichiamo che nel dicembre del 2018 tutti abbiamo letto un comunicato della Presidenza del Consiglio in cui si ribadiva il varo di un Disegno di Legge delega che prevedeva l’adozione del nuovo Codice Appalti, con Decreto Legislativo, entro un anno. Entro due anni, invece, si precisava nel Disegno di Legge, sarebbe stato adottato con Decreto del Presidente della Repubblica il regolamento esecutivo attuativo che avrebbe sostituito le linee guida dell’Anac.

Ancora sempre nel comunicato si precisava che “Una norma contenuta nel decreto legge semplificazioni” puntava ad allargare la fascia dei lavori che potevano essere affidati senza gara formale alzando il tetto da un milione a 2,5 milioni di euro e alleggerendo gli adempimenti per i subappalti”. Dopo questi comunicati mi sarei aspettato:
1. una reazione forte dell’Ance perché cosciente che una simile decisione denunciava la ignoranza totale del Governo su una emergenza gravissima dell’intero comparto delle costruzioni
2. una reazione della Confindustria ormai spettatrice di un giornaliero processo di crisi irreversibile di un numero rilevante di grandi, di medie e di piccole imprese di costruzione
3. una reazione dei Sindacati che da circa otto anni assistevano ad una riduzione patologica degli occupati nelle attività dirette e collegate al mondo delle costruzioni di oltre 800.000 unità
4. una reazione dell’Anac sia per la chiara bocciatura dell’attuale Governo delle cosiddette “linee guida” varate dalla stessa Anac, sia per il sicuro crollo della tanto invocata trasparenza.

Forse l’Ance, la Confindustria, i Sindacati e l’Anac riponevano, nel dicembre del 2018, fiducia nell’allora governo e preferirono non aprire un contenzioso in quella fase in cui era ancora possibile costruire accordi, fare correzioni e, quindi, pervenire ad un buon prodotto normativo. Ma questo atteggiamento sarebbe stato comprensibile e forse accettabile se le condizioni dell’intero comparto delle costruzioni fosse stato solo critico, invece no, non era critico: era già allora ormai vicinissimo ad un collasso irreversibile. In Italia non c’erano più cantieri aperti. L’intero mondo delle costruzioni correva verso gare di appalto impossibili, partecipava a gare che erano, sempre due anni fa, veri massacri economici con ribassi che anticipavano solo il fallimento anche di imprese storicamente solide.

La mia è una esasperazione di questo teatro produttivo riconosciuto un tempo come motore chiave della economia del Paese, il mio è terrorismo mirato solo a denunciare gli errori delle varie coalizioni di Governo? Assolutamente no; denuncio queste gravi responsabilità di chi gestisce la “cosa pubblica” da cinque anni, da quando ha preso corpo, a cura dei Governi Renzi e Gentiloni, questa assurda ed inconcepibile logica del “non fare”. Ed allora come possiamo accettare che di fronte a queste gravi emergenze un Paese industrialmente avanzato come il nostro abbia a dicembre del 2018 potuto invocare un itinerario procedurale che ha una previsione di due anni; un arco temporale senza dubbio utile per regalare il mercato delle costruzioni italiano ad imprese non italiane?

Ma torniamo al Codice Appalti: oltre ad essere illegittimo per le cose dette prima contiene altre anomalie e senza dubbio quelle più gravi sono quelle sollevate formalmente dalla Unione Europea e relative al subappalto o alle norme che regolano l’obbligo o la possibilità di escludere dalle gare gli operatori non in linea con i requisiti o ritenuti poco affidabili (articolo 80 dell’attuale Codice) e non esente da rilievi è risultato pure il capitolo dedicato ai concessionari.
Mi chiedo come mai l’Anac non abbia, negli appositi documenti definiti “Linee guida sul Codice Appalti” approvati dal Consiglio dell’Autorità e quindi condivisi anche dall’allora Presidente Cantone, preso atto di queste anomalie.

Il Presidente dell’Ance Buia ha subito ribadito: «La decisone della Commissione europea conferma quello che andiamo denunciando da anni e cioè che il Codice Appalti ha completamente fallito l’obiettivo di riportare il settore dei lavori pubblici in Europa con regole semplici, chiare e trasparenti. Non possiamo attendere i tempi di una legge delega di riforma del codice – precisa Buia – servono modifiche urgenti e tempestive per consentire lo sblocco dei cantieri».

Ho già più volte ricordato che il comparto delle costruzioni partecipa per oltre il 12 – 14 % nella formazione del PIL del Paese; ho ricordato che da cinque anni il comparto è praticamente fermo ne sono una prova il numero di CIPE effettuati e la spesa dello Stato (circa 5 miliardi in 5 anni contro una soglia minima nel periodo 2008 – 2014 di 5 miliardi all’anno); ho ribadito più volte che le cause dominanti andavano ricercate nella volontà dei passati Governi di trasferire le risorse dagli investimenti in infrastrutture a erogazioni in conto esercizio per i famosi “80 euro” ai salari bassi e nell’assurdo strumento del Codice Appalti.

Ora penso che sia arrivato il momento in cui la Confindustria, l’Ance e il Sindacato mettano in mora il Governo denunciando quanto sia rilevante il danno che l’intero comparto ha vissuto e sta vivendo; un danno che, se non si vuole diventi irreversibile, va affrontato non con provvedimenti il cui arco temporale è completamente estraneo alla logica della “emergenza”. Mi chiedo se non siano sufficienti questi dati:
A) 120.000 imprese fallite negli ultimi cinque anni
B) Oltre 600.000 unità lavorative perse, sempre nell’ultimo quinquennio
C) Oltre sette grandi imprese in “concordato preventivo”