Il Coronavirus, infatti, ha messo in luce, insieme alla devastazione di eguaglianza, di ecologia e di umanità, la distruzione di democrazia. La demonizzazione del conflitto, della produzione delle istanze di una società diversa non sono la realtà solo del tempo del virus. La riduzione del Parlamento a cassa di risonanza del governo è un processo di medio periodo che ha infestato tutta la democrazia rappresentativa in tutta Europa. L’inflazione dei decreti legge, la decretazione d’urgenza, diventata prassi ordinaria, hanno collocato l’esecutivo sopra e al posto del Parlamento. Il ricorso sistematico al voto di fiducia ha fatto il paio con la tendenza alla riduzione del numero dei parlamentari. Effettivamente, per svolgere il compito di ratificare la decisione del nuovo principe non c’è bisogno di far ricorso alla pienezza della rappresentanza e alla rappresentatività del popolo. Già, il popolo è la sua rappresentanza.

La centralità del Parlamento in questo processo di costruzione storica, quale quello pensato dai costituenti e vissuto in Italia nella straordinaria vicenda degli anni 70, può darsi solo all’interno di una partecipazione di massa e solo se alimentato dalla grande politica, quella che ha l’obiettivo della trasformazione della società esistente. Il grande Norberto Bobbio, uno dei maggiori intellettuali italiani del pensiero liberal-democratico, aveva però torto a sostenere che la democrazia non sia oggettiva, che la democrazia è la risposta alla domanda “chi e come decide”. Questi ultimi 25 anni ci hanno insegnato che non c’è democrazia senza eguaglianza, che del resto è quello che pretende la Costituzione repubblicana.

Dunque, ci ha insegnato che non c’è forma adeguata senza una sostanza a cui la forma si rapporti. Da questa rottura è nata la malattia delle nostre democrazie e l’insorgere di essere in esse di propensioni a costruirsi forme di governo sostanzialmente oligarchiche. Temo che si questa la ragione di fondo per la quale al centro dell’Europa un Orbán possa fare strame dello Stato di diritto. Un simulacro di democrazia non ha la forza di sconfiggere neppure chi al suo interno possa abbatterlo con nuovi e inediti metodi.

Penso che abbia ragione chi sostiene che oggi per difendere la democrazia bisogna battersi per una “democrazia radicale”, per quella che un tempo lontano ma ancora carico di futuro si poteva chiamare per qualcuno “democrazia progressiva” e per qualche altro “democrazia integrale”. Ora è venuto il tempo della democrazia radicale, senza questa prospettiva, senza questo orizzonte, le democrazie liberali si suicidano. È l’ora della riscossa, non della difesa dello status quo, altrimenti persino Orbán risulta invincibile.

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Politico e sindacalista italiano è stato Presidente della Camera dei Deputati dal 2006 al 2008. Segretario del Partito della Rifondazione Comunista è stato deputato della Repubblica Italiana per quattro legislature ed eurodeputato per due.