Il discorso a Strasburgo
Come Macron vuole cambiare l’Europa: quali sono le condizioni
Con il discorso nell’Europarlamento di Strasburgo e con le altre iniziative, a cominciare dalle posizioni sulla guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina, nonché con la capacità di sfruttare la carica di presidente di turno dell’Unione, Emmanuel Macron ha assunto un ruolo di punta in Europa, nelle stesse giornate nelle quali il tema delle relazioni euro-atlantiche è tornato di forte attualità anche con l’incontro di Draghi con Biden alla Casa Bianca.
Naturalmente, vi sono posizioni condivisibili e altre meno. Tuttavia, non vi è dubbio che meglio di altri, ivi compreso il Premier Draghi, appare dotato di un disegno preciso e di un atteggiamento nei confronti della Russia non solo di vuote espressioni, pur essendogli a volte contestato il “ma anche”. Altre volte gli sono stati attribuiti concetti molto spinti quale, per esempio, quello secondo cui non bisogna umiliare ora la Russia e Putin, quando, invece, come è stato rilevato, la non umiliazione si riferisce, nel discorso di Macron, al dopo le conclusioni di un’auspicabile pace. In ciò, egli molto probabilmente risente dell’influenza esercitata dalle conseguenze, per la Germania, del Trattato di Versailles e del famoso saggio di J.M. Keynes su Le conseguenze economiche della pace. I pesanti indennizzi di guerra e le limitazioni a carico della sconfitta Germania concorsero, allora, ad aprire la strada all’avvento di Hitler.
Nell’Europarlamento il Presidente francese ha posto l’esigenza di compiere passi avanti nell’Unione attraverso la modifica dei Trattati, il superamento del diritto di veto e l’attribuzione al Parlamento stesso dell’iniziativa legislativa. Prima ancora, ha sostenuto la necessità di dare vita a una nuova Comunità politica europea estesa oltre i confini dell’Unione e aperta ai Paesi che vogliano cooperare con quest’ultima, magari anche in attesa di aderirvi. L’idea viene inquadrata nella visione di un nuovo ordine internazionale, che soprattutto le riflessioni sulla guerra impongono di realizzare, e in una concezione dell’Europa come un polo di rafforzata indipendenza e sovranità che tratta da pari a pari con gli Usa. Naturalmente, si tratta di un disegno che richiederebbe non poco tempo per la realizzazione. Tuttavia, il delinearlo già sollecita a tener conto dell’obiettivo per le azioni di breve termine. È una fuga in avanti? Non credo, ma per la solidità degli ipotizzati progressi, di vario tipo, lungo la strada, innanzitutto, dell’integrazione, occorre affrontare l’altro ineliminabile polo del discorso: la valorizzazione, cioè, del principio di sussidiarietà verticale, che i Padri fondatori dell’Europa posero a base dell’Unione insieme con gli altri principi.
In base ad esso, ciò che può essere fatto a livello inferiore, nei singoli Stati, non va accentrato. Si tratta di un bilanciamento fondamentale, considerata anche la reazione a questa e alle altre proposte di Macron da parte di 13 Paesi che sono contrari a innovazioni, almeno per ora, di qualsiasi genere. Ciò che avviene in diversi comparti per la regolamentazione e i controlli, a cominciare da quello bancario e finanziario, rende ancor più necessaria la concreta attuazione del principio in questione. Ma il Presidente della Francia ha toccato, come si è detto, il punctum dolens del diritto di veto per sottolineare la necessità di superarlo. Anche in questo caso, però, non ci si può fermare a tale aspetto: il potere di veto è la conseguenza di un processo di integrazione ancora molto lontano dall’approdo desiderabile. È l’epifenomeno, non la causa della lentezza e inadeguatezza del processo o, comunque, può diventare anche causa, ma non è il prius. Agire solo su di esso è simile, per fare un paragone, a quello che era un tempo il “vincolo esterno” dato dal cambio della lira: avrebbe dovuto abituare l’Italia al rigore che non dimostrava, per esempio, nei conti pubblici. L’operazione, in effetti, non è mai riuscita, come si sarebbe voluto.
Poiché si afferma che avanzare nell’integrazione non significa cedere sovranità nazionali, ma partecipare, spostando le decisioni al centro, all’esercizio di una più ampia sovranità, quella europea, allora bisogna concretamente assicurare tale compartecipazione piena e non solo nominalistica: questo è l’aspetto da affrontare, perché, alla luce di quanto finora è accaduto, non si è avvertita, anche in nuce, tale forma di partecipazione. È su questa base che va affrontata la questione sia, come si è detto, del diritto di veto, sia dell’iniziativa legislativa autonoma dell’Europarlamento, che implica un riassetto del cosiddetto trilogo (Commissione, Consiglio, Europarlamento). Quando, per esempio, altri propongono l’introduzione, a livello europeo, del Ministro unico delle Finanze (da noi, del Tesoro) perché costituisca l’interfaccia istituzionale della Banca centrale europea, non considerano che, per eliminare la zoppia di cui parlava Carlo Azeglio Ciampi (unica politica monetaria, pluralità, per Stati, delle politiche economiche) non basta il Ministro unico che, se solo, potrebbe paradossalmente aggravare i problemi per l’accentramento, che così si realizzerebbe, di prerogative senza partecipazioni.
È l’intera architettura istituzionale che andrebbe rivista. ma oggi ne esistono le condizioni? Si può dare avvio a una Convenzione, anche sulla base dei risultati, spesso generici, della Conferenza sul futuro dell’Europa? D’altro canto, si può parlare di revisione dei Trattati senza esplicitare bene perché, come, in quali punti? E il rapporto euro-atlantico, con il ruolo della Nato? Come concretamente affrontare i problemi della sicurezza in Europa sotto i diversi profili e i nuovi bisogni, cominciando dall’energia, in una con le differenti forme di transizione? Non è affatto facile affrontare questi temi e, soprattutto, far sì che essi possano coinvolgere i cittadini europei. Tuttavia Macron ci sta provando, anche se con la prospettazione di soluzioni, come si è detto, non sempre condivisibili.. Ma almeno ne deriva uno stimolo a riflettere e, auspicabilmente, ad agire.
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