Il giornalista di Repubblica racconta la morte del fixer in Ucraina
Corrado Zunino: “Bogdan è morto davanti ai miei occhi, in pochi secondi. Volevo portarlo in Italia”
Il giornalista di Repubblica Corrado Zunino ha raccontato oggi sulle pagine del quotidiano l’agguato che ha colpito lui e il suo fixer sul campo in Ucraina, a Kherson, città del sud del Paese controllata dall’Ucraina ma vicina alla zona controllata dai russi. Bogdan Bitik è morto sotto i colpi, a quanto ricostruito, dei cecchini russi mentre si trovavano sul ponte Antonivsky. Si era parlato anche di droni russi. “Ho sentito i colpi, un bruciore alla spalla e ho visto Bogdan cadere a terra a un metro da me. Pochi secondi. È morto davanti ai miei occhi. Una sofferenza atroce. Bogdan era un grande amico e un giornalista di valore”.
È stato in ospedale che al giornalista hanno detto: “Sniper”, cecchini che possono tirare anche da 400 o 500 metri, che gli hanno raccontato che il corpo del fixer di era ancora lì a terra e che era troppo pericoloso andarlo a recuperare. Erano mesi che i due lavoravano insieme, in tutte le cinque trasferte in Ucraina di Zunino il fixer era sempre stato Bitik. Avevano deciso di andare a Kherson per raccontare l’imminente controffensiva ucraina. Erano arrivati nella città svuotata, ma non distrutta come altre, in mattinata. Si erano avvicinati al ponte Antonovsky perché erano emerse evidenze di incursioni ucraine sull’altra sponda.
“Ci sono dei militari ucraini a circa 20 metri da noi. Ho addosso il giubbotto antiproiettili blu con la scritta bianca ‘press’, ‘stampa’, e in testa l’elmetto. All’improvviso gli ucraini urlano “go away, go away”, andate via, e “press, press”. Sono pochi secondi: mi giro per tornare verso la macchina che è a 30 metri dai noi, Bogdan rimane fermo, sento un colpo da dietro, la spalla che brucia. Mi giro sperando che Bogdan mi stia seguendo, ma lui non si muove, è a terra. Pochi metri e cado anche io. Perdo sangue dalla spalla e cadendo mi ferisco a una mano, al ginocchio, al naso. Non capisco da dove arrivi. Siamo ancora sotto tiro”.
Zunino è riuscito a farsi accompagnare in ospedale da un civile, incrociato sulla strada mentre scappava. Il fixer non rispondeva a telefono. Dopo la fuga il ricovero a Kherson, il trasferimento a Mykolaiv e a Odessa. “In viaggio da Kherson verso Odessa. Sto bene, ho una ferita alla spalla destra, sfiorata dal proiettile che ha centrato il mio grande amico Bogdan. Credo sia morto, all’inizio del Ponte di Kherson. Un dolore infinito. Avevo il giubbotto con la scritta Press”, ha scritto in un primo tweet il giornalista. Secondo il diritto internazionale umanitario i giornalisti che segnalano con chiarezza di far parte della stampa devono essere considerati civili, non possono essere considerati obiettivi militari. I giubbotti con la scritta PRESS serve proprio a farsi riconoscere nelle zone di guerra dai militari. Repubblica ha pubblicato una foto con il giubbotto di Zunino sporco di sangue.
“Ripenso a un anno fa, a giugno. Con Bogdan eravamo andati a Lysychansk per aiutare un gruppo di ucraini che cercavano di scappare dalle bombe. Portammo in salvo quattro donne della stessa famiglia fino a Bakhmut, che all’epoca non era il deserto di macerie che è oggi. Bogdan era generoso. Un ucraino che stava dalla parte della sua gente ma voleva anche capirne i difetti. Cercava di essere comprensivo con le persone, con le loro paure, non si scontrava mai con nessuno. Era di una grande intelligenza. Due sere fa gli ho detto: ‘Quando torno in Italia ad agosto vieni su con me, in Liguria, e festeggiamo il mio compleanno’. Mi ha risposto: ‘L’Italia. Mi piacerebbe tanto. Ma non credo che mi faranno ancora uscire dall’Ucraina’”.
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