Sulla nomina del giudice della Corte Costituzionale Meloni vuole farla da padrona, tirando fuori il suo consigliere che ha elaborato la norma sul premierato (con tanto di premio di maggioranza), che nessuno aveva mai visto prima. Un vecchio pallino della destra che scardina la Costituzione nata tra forze politiche, culturali e ideali diverse, per unire un paese diviso che aveva al suo centro la democrazia costituzionale e non la democrazia della maggioranza.

Chi è stato per tanto tempo fuori dal potere – o ai margini del potere berlusconiano – si porta addietro la fame di posti, presenze e sottopotere. Il punto è la qualità delle proposte e delle figure messe in campo nel governo. Nella scelta del giudice costituzionale poi non è in discussione la qualità della persona proposta da Meloni, ma il possibile, immediato conflitto di interesse tra l’estensore di una norma di dubbia validità e il giudice che deve esaminarla. Non credo ci sia alcuno che possa mettere in discussione la possibilità di Fratelli d’Italia di designare una persona ideologicamente affine. Tra i fratelli e le sorelle d’Italia ci sarà sicuramente qualcuno che al momento non frequenti o non abbia incarichi presso la Presidenza del Consiglio. È una questione di inopportunità politica.

Sul piano politico poi, c’è un aspetto fondamentale: nessuno della destra centro si fida del proprio alleato, così come nessuno della sinistra centro si fida dell’altro socio di opposizione. La vicenda della Rai è emblematica: a furia di dire che i partiti devono stare fuori da tutto, alla Rai è rimasto fuori il Pd, lasciando spazio ai compagni del campo largo, 5S e AVS. Una scelta geniale, davvero da premio Nobel della politica. E in tutta questa elevata discussione sulle nomine in Rai, da nessuna parte è emersa una visione moderna dell’azienda o progetti diversi del ruolo e della presenza della Rai nel panorama informativo e culturale italiano. Per tutti l’importante è che ci siano dei reggimicrofoni che registrano, senza fare domande.

In questi anni si è demonizzato il consociativismo come la lottizzazione, ed ecco il risultato: si va a colpi di maggioranza, o si fanno accordi sottobanco. I famosi inciuci, termine anche questo abolito dall’epoca della demonizzazione dei partiti e dei politici. Una volta distrutti i partiti della prima repubblica, le nomine le fa il titolare del partito personale: “Io alla fine mollerò per questo. Perché fare sta vita per far eleggere sta gente, anche no”. dice Meloni. Al partito, agli organi di partito (segreteria, direzione, assemblea nazionale) di fatto si è sostituito il padrone del partito o della lista che alle elezioni porta il suo nome. Si è addirittura fatto in modo che si rendesse istituzionale il cesarismo (che qualcuno vuole adottare anche per il governo nazionale): i Sindaci, eletti dal plebiscito popolare, nominano i loro assessori, e fanno le nomine negli enti pubblici, senza ascoltare nessuno.

Siamo arrivati al punto che il Sindaco di una grande città nomina i suoi amici e nessuno dice niente, senza alcun controllo democratico: non passano neanche dal Consiglio Comunale. E questo è stato giustificato con il fatto che i partiti nel passato hanno abusato del loro ruolo. Per cui dall’abuso si è passati direttamente al disuso di qualsiasi forma di controllo esterna e interna ai partiti. E non si è mai applicata la norma costituzionale dell’articolo 49, come esiste in Germania, che stabilisce che i partiti concorrono con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale.

Una domanda: in Liguria il centrosinistra ha tenuto le primarie? O le primarie sono ad libitum, a piacere, a discrezione? Da quanto tempo non si vedono più i congressi di partito? In Germania ci sono ancora, ma si sa, la Germania è in declino, noi siamo avanti, siamo al partito leggero, anzi leggerissimo, evanescente, vago, indistinto, ma basta che abbia un padrone. Il maggioritario ha portato con sé una concezione della politica priva di mediazione, di compromesso. O per meglio dire la mediazione e il compromesso si cercano all’interno della coalizione, ma non con l’opposizione; e quando è necessaria la mediazione o l’accordo non avviene alla luce del sole, perché questo sarebbe consociativismo, confusione dei ruoli di maggioranza autosufficiente e di minoranza che deve limitarsi alla pura propaganda.

Infatti, quando si assiste alle riunioni della Camera o del Senato non si assiste al confronto, al dialogo, o alla ricerca dell’intesa o della migliore soluzione possibile nell’interesse di tutto il Paese: si assiste a comiziacci di pura propaganda, a discorsi tra sordi, tra persone che non hanno la voglia di confrontarsi e di capirsi, di intendersi, di trovare intese per fare la legge migliore possibile. No, ciascuno vuole imporre le sue proposte e non è neanche il muro contro muro, è proprio un modo di negare la politica come arte del compromesso, della mediazione, dell’intesa che possa raccogliere proposte, suggerimenti da altri. Non vi è più il gusto della iniziativa politica, di quella proposta che cerca di smuovere dalle proprie posizioni politiche, culturali e ideali gli altri onde modificare la situazione. Il compromesso è per definizione “al ribasso” e quindi negativo, da rifiutare a priori.

Per la Corte costituzionale sarebbe bene che i gruppi della Camera e del Senato, di maggioranza e di minoranza, si sedessero attorno a un tavolo e trovassero l’intesa su quattro nomi, da votare in due turni, uno adesso e tre a dicembre. Ma siccome gli accordi nella seconda repubblica sono scritti sulla sabbia, e nessuno si fida degli altri, nemmeno all’interno della stessa coalizione, esistente o presunta tale, ecco che si mettono a rischio le istituzioni con una volontà di accaparramento dei posti gargantuesca. Di persone che non hanno sicurezza del futuro e quindi devono fare incetta di posti e di affari perché “di doman non c’è certezza” e il potere fugge e inganna.