La pace
Cortei ProPal, non c’è mai spazio per la solidarietà al popolo ucraino
Per chi cerca di ragionare con la testa, e non con il tratto terminale dell’intestino, dopo quasi tre anni di bombardamenti a tappeto dovrebbe ormai essere chiaro: l’obiettivo di Putin è quello di rendere invivibile l’Ucraina e di terrorizzare la sua popolazione, fiaccandone la capacità di resistenza e facendo letteralmente terra bruciata intorno a Zelensky.
Non sembra però che questa realtà scalfisca le certezze dei pacifisti irriducibili, di coloro cioè che vogliono la pace a ogni costo e con ogni mezzo, foss’anche la resa a un autocrate che si fa beffe del diritto internazionale. Né sono bastati quasi 8 milioni di profughi, decine di migliaia di morti civili, migliaia di bambini rapiti, le famiglie smembrate, le rovine urbane e industriali, le infrastrutture elettriche distrutte, un territorio devastato, a scaldare i cuori degli studenti con la kefiah e dei loro professori col turbante muy indignados per il “genocidio” a Gaza.
Oltre 1.000 giorni di sistematica violenza e nemmeno un corteo a sostegno del popolo aggredito. Solo un paio di manifestazioni organizzate dalle associazioni del mondo religioso, sindacale e del volontariato, a cui si sono prontamente accodati i partiti della sinistra d’antan e del neomovimento antimilitarista di Giuseppe Conte, per chiedere l’apertura di un negoziato tra Kiev e Mosca e costruire le condizioni di una pace giusta. Già, ma quali sono queste condizioni? Non vengono mai specificate. Manifestazioni “senza bandiere”, quindi, e anche senza proposte. Qui casca l’asino.
Quelle condizioni possono prescindere dal ritiro dell’esercito invasore dalle regioni annesse con referendum farsa e dalla riparazione dei danni di guerra? Possono, ma solo se si consente con l’adagio di Erasmo da Rotterdam, secondo cui “la pace più ingiusta è migliore della guerra più giusta” (“Querula pacis”, 1517). In Italia, insomma, c’è chi marcia per la pace e chi sulla pace ci marcia. Un caustico aforisma di Giuseppe Prezzolini recita: i cittadini italiani si dividono in due categorie, i furbi e i fessi. Nel nostro caso, i fessi sono coloro i quali ritengono che la pace non può essere il “cimitero della libertà” (Kant). I furbi sono coloro i quali pensano che sull’altare della pace futura può essere “sacrificata anche la libertà di un popolo” (Robespierre).
Tra i fessi e i furbi ci sono poi i neneisti, una terza categoria non prevista da Prezzolini. Dal “né con lo Stato né con le Br” di ieri al “né con la Nato né con Putin” di oggi, la nostra storia più recente è piena di neneisti. Pallide controfigure del Romain Rolland autore, poco dopo l’inizio della Grande guerra, di “Au-dessus de la mêlée” (Al di sopra della mischia), non hanno il coraggio di assumersi la principale responsabilità che Norberto Bobbio imputava agli intellettuali: quello di impedire che il monopolio della forza divenga anche il monopolio della verità. Un milieu culturale in cui spiccano direttori di giornali e opinionisti “tartufi”, che si fingono ipocritamente neutrali per poter meglio dissimulare il loro odio antioccidentale.
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