Milano non è per tutti. Non è per certi ragazzi immigrati che faticano a integrarsi, scappano dai carabinieri e muoiono in maniera assurda. Non è (più) per le periferie, che si trasformano in ghetti dove ci si fa giustizia da soli. Non è per chi propone racconti in controtendenza sulla vita, come dimostra ciò che è accaduto in Università Statale nei giorni scorsi, dove i collettivi di sinistra hanno impedito lo svolgersi di un evento che portava testimonianze in contrasto con il loro credo.

Quando le istituzioni fanno un passo indietro, quando non c’è senso di comunità, prevalgono il disordine e la rabbiosa e miope contestazione. Milano non è una comunità, ma un posto esclusivo. È un attico in centro con vista sulle case popolari. Non è una grande casa di popolo. La Milano dei quartieri rischia di scomparire se non vedremo forti reazioni in tempi brevi. Da un lato una continua esasperazione del diverso che altera la percezione della situazione reale, dall’altra la paura oggettiva dei cittadini, ignorata da quella sinistra che non si occupa adeguatamente di questi fenomeni o, in certi casi, fa da spalla. Per Milano bisogna mettere in campo una politica nuova, che si basi su un semplice e sacrosanto punto di partenza: la buona volontà dei milanesi, che va accompagnata e aiutata.

Le violenze

Per agire significativamente sulle cause del disagio e dell’insicurezza, i soggetti sociali, che esistono e si danno da fare, devono essere messi nelle condizioni di lavorare al meglio. I gravi disordini verificatisi al Corvetto sono il sintomo di un fallimento più profondo, quello della nostra incapacità di costruire un tessuto sociale che tenga insieme il rispetto delle regole, il senso di appartenenza e la convivenza civile. Il venir meno dei processi di integrazione e della trasmissione di una cultura condivisa ha generato un vuoto che è stato riempito da rabbia e nichilismo. Questo tessuto non lo costruirà mai un’ideologia perfettamente applicata né tantomeno miriadi di convegni sul tema. Ma mani e braccia di persone che sanno operare.

Un nuovo percorso

Eventi come questi devono porre il tema di come rispondere fermamente a un fenomeno sociale per cui l’insofferenza a un qualsiasi tipo di obbligo o obiezione sfoci in una violenza che mina la sicurezza, la serenità e la libertà degli altri. Non possiamo arrenderci, dobbiamo reagire. Dobbiamo riaffermare la centralità della cultura, della scuola, del senso di comunità e del confronto. E condannare chi promuove e alimenta il conflitto. Milano deve urgentemente avviare un nuovo percorso di ripensamento di sé, con lo spirito di chi torna alle origini e cerca nelle sue peculiarità ambrosiane ciò che è da valorizzare.