Proprio in questi giorni le forze di sinistra in Francia hanno avviato il percorso della costituzionalizzazione del diritto di abortire. Si tratta di una scelta dettata dalla volontà di scongiurare l’attacco che, dagli Stati Uniti della sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization passando per le democrature dell’Est per finire all’Italia afascista, la destra sta conducendo contro la femminile disposizione del proprio corpo.

A livello locale, le amministrazioni clerico-sovraniste già introducono quelle isole del terrore chiamate “cimiteri dei feti”. L’ultima proposta di legge, firmata dalla sottosegretaria Rauti e dal capogruppo e cultore di interpretazioni bibliche Malan, prevede l’istituzione di una “Giornata della vita nascente”. I Fratelli d’Italia, che nel programma elettorale proponevano di scardinare nientemeno che il principio del “primato del diritto comunitario”, ora rendono finalmente palesi i modelli giuridici di riferimento di questi singolari nazionalisti: Honduras, Costarica, Nicaragua, Portorico e Repubblica Dominicana (nel disegno di legge del Senato, per la verità, viene chiamata da estensori con la testa già al meritato riposo domenicale, magari su qualche bella spiaggia, “Repubblica Domenicana”). Sono queste, tra le altre, le “Nazioni” che dei legislatori in preda ad un colpo di sole caraibico dicono espressamente di prendere ad esempio.

Malgrado le rassicurazioni fornite dalla ministra Roccella in un’intervista alla “Stampa”, con la novella festa del concepimento, da celebrare il giorno dell’Annunciazione a Maria, l’esecutivo prosegue, in realtà, verso un oscuro incantamento religioso del potere pubblico. L’aggressione alla legge 194 comprime il diritto-potere di (non) procreare in nome di non negoziabili “diritti del concepito”. Prova ne è la bizzarra, e però reiterata nelle diverse legislature, proposta di Gasparri di riconoscere la capacità giuridica al concepito, cambiando l’ossatura del codice civile, che collega quest’ultima al fatto della nascita. L’assunzione del feto come pieno soggetto giuridico, benché senza corpo, volontà e discorso, sconvolge le acquisizioni secolari del diritto dei privati.

Sembra quasi che la destra coltivi il disegno di sostituire il codice civile con il codice canonico, e quindi di imporre, attraverso gli strumenti coercitivi dello Stato laico, una particolare concezione etico-religiosa della vita. Al posto del soggetto-corpo, che è nel mondo, subentra un’entità prenatale, che solo in potenza può diventare una soggettività umana. Il disegno di legge di Gasparri abbatte le fondamenta della civiltà giuridica europea in relazione all’idoneità ad essere titolari di diritti ed obblighi. Con la considerazione del feto come entità autonoma da rivestire giuridicamente della capacità prevista per la persona-soggetto, una concezione teologica, relativa alla presenza dell’anima sin dal concepimento, viene tradotta in norma giuridica. Si precipita nel Medioevo del diritto quando, con il nascente diritto canonico, sulla base della prescrizione per cui il feto è già persona, “la chiesa ha dunque una potestà suprema di governo o di impero che si estende così sul foro esterno, come nel foro interno o della coscienza” (M. Falco, Introduzione allo studio del “Codex iuris canonici”, Il Mulino, 1992, p. 240).

Ben altro è lo spirito del diritto civile occidentale di impronta romanistica, che non sposa una visione etica o filosofica della vita. Rimane del tutto legittimo ritenere, sul piano del convincimento personale, che l’insieme di cellule ospitato nel ventre della madre sia una persona. Illegittimo, invece, è tramutare questa credenza filosofico-religiosa in una prescrizione giuridica valida per tutti, con implicazioni civili e penali. Il codice civile italiano vigente, che Gasparri vorrebbe ritoccare addirittura nel suo articolo iniziale o di sistema, non è che il punto di arrivo di una raffinata tradizione giuridica che con il diritto romano, per l’attribuzione della capacità di essere soggetto nella trama dei rapporti formali, prescriveva “il completo distacco del feto dal corpo materno e la vita autonoma del nuovo essere” (M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, p. 74).

Se non diviene, con il fenomeno della nascita, “un essere vivente e vitale” nel mondo esterno, il feto in quanto mera ipotesi di vita non può godere di alcuna capacità giuridica autonoma. Nelle figure del diritto romano è del tutto trasparente che “la nascita è la completa separazione dell’essere vivente dal corpo della madre: solo al momento in cui questa separazione si attua si avrà il sorgere della nuova persona fisica” (E. Volterra, Istituzioni di diritto privato romano, Roma, 1977, p. 48). I diritti e gli obblighi riguardano solo la corporeità, ovvero gli enti sensibili capaci di azioni esteriori in quanto immersi con altri nel mondo relazionale. Il nascituro, quale potenzialità che non è ancora diventata un corpo visibile e indipendente, è certamente guardato con attenzione dal diritto per i risvolti anche patrimoniali che lo lambiscono, ma non ha le qualità necessarie per essere pienamente una soggettività. Nelle trattazioni del diritto romano, spiega Pietro Bonfante (Istituzioni di diritto romano, Padova, 1987, p. 35), “il concepito non è attualmente persona: essendo pur sempre una persona eventuale, in fieri, gli si riservano quei diritti che dal momento della nascita gli sarebbero devoluti”.

In suo favore vengono ritagliati solo dei possibili diritti patrimoniali, ma non si può andare oltre una sorta di aleatoria capacità provvisoria, pur sempre subordinata al reale evento della nascita. Chiarisce bene i termini del problema lo storico del diritto romano Volterra (op. cit., p. 48): solo nella concezione teologico-giuridica medievale si ritiene che “conceptus pro iam nato habetur, che cioè il concepito si considera per finzione giuridica già nato, principio che non corrisponde certo al concetto romano”. Le coordinate teoriche che ispirano i fondamenti del diritto romano sono raccolte nei codici civili moderni e contemporanei, che rinviano alla concretezza di un corpo naturale per il riconoscimento dell’attitudine ad essere titolari di situazioni giuridiche attive e passive. Il feto, come complesso di cellule che potrà diventare una persona, nei codici non compare con i tratti della pienezza di soggettività che la destra vorrebbe ricoprire di capacità giuridica in nome di un’ispirazione religiosa.

La dottrina civilistica, anche quella cattolica, avverte che la generica menzione “di diritti che la legge riconosce a favore del concepito non deve intendersi nel senso di una anticipazione, sia pure eccezionale, della capacità di diritto e quindi della soggettività rispetto al fatto naturale della nascita” (P. Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1973, p. 106). La titolarità di un diritto è nei codici liberali inscindibile dall’evento naturale della nascita. La pretesa di riscrittura dei codici, sollecitata da Gasparri paladino del nascituro, non ha fondamenti dottrinari solidi. “L’embrione non ha una vita indipendente rispetto a quella della madre, ciò nonostante si tratta di una entità vivente. Il fatto non appare sufficiente ad attribuirgli la qualità di soggetto del diritto” (M. Bessone, a cura di, Istituzioni di diritto privato, Torino, 1998, p. 93). Preso sul serio, il disegno di legge della destra comporterebbe la presenza di un ufficiale dell’anagrafe per registrare tutto ciò che accade in ogni corpo di donna.

Inoltre, a quel punto, si imporrebbero come necessari un intervento nel codice penale, volto ad equiparare l’interruzione volontaria della gravidanza all’omicidio doloso, e la valutazione attenta se dietro ciascun aborto spontaneo o terapeutico non si celi, piuttosto, un omicidio colposo. Il ri-codificatore Gasparri vuole rompere la lunga civiltà giuridica occidentale, che separa diritto e morale, e imporre la statalizzazione del corpo materno. È evidente che la sua proposta comporta, per la donna, una riduzione della libertà di scelta che evoca una sorta di obbligo di generare. L’assunto è quello di un corpo femminile inteso come territorio balcanizzato entro cui diverse pretese di sovranità (del maschio e del feto) concorrono a comprimere l’autodeterminazione della donna nella decisione sulla maternità. Tutto ciò è una palese restrizione dell’autonomia di un soggetto che, in questo disegno, deve perseguire fini (statali) di procreazione anche se non voluti con un atto di consapevole decisione.

La costrizione a divenire comunque madre, dopo che si è verificato il concepimento, implica una pubblicizzazione del corpo della donna in nome di un diritto inviolabile del nascituro. Il parto, dopo il fatto biologico della fecondazione, è trasformato in un obbligo giuridico. Ciò comporta la subordinazione della donna alla sovranità di un non-ente, che per la destra teologica è invece un soggetto morale. Una semplice entità prenatale, con i suoi segni di vita, diventa persona, mentre una persona reale decade a cosa deprivata dell’autonomia della volontà.
La negazione della pratica abortiva come diritto di non fare (non partorire) a disposizione della donna-soggetto si spinge così sino alla prescrizione per la donna-cosa di un obbligo di fare (partorire).

La conseguenza dell’ingerenza dello Stato-sovrano nel ventre materno è la cancellazione della libertà personale di non fare. In tal modo, è inevitabile la consegna della corporeità femminile alla costrizione statale, che impone in ogni caso, a prescindere da una volontà consapevole, di completare il percorso della vita. In un diritto laico e liberale, però, è alla donna soltanto che spetta la facoltà di decidere della nascita, intesa come condizione unica che fa di un embrione portatore di un progetto di vita una persona reale.