Nell’ultima campagna elettorale è stata molto enfatizzata la contrapposizione tra diritto all’aborto e diritto a non abortire. Essendo assolutamente inutile disquisire sulla risibilità del secondo, vorremmo però soffermarci sul primo, che, come l’altro, nel nostro Paese semplicemente non esiste. In Italia, infatti, l’aborto, lungi dall’essere un diritto, è ancora un reato, punito, al di fuori dei casi previsti dalla legge 194 del 1978, a norma dell’art. 19 della stessa legge.

La legge 194 nasce per arginare la piaga degli aborti clandestini e tutela esclusivamente il diritto alla salute fisica e psichica della donna, ma non lascia spazio all’autodeterminazione; anzi, in alcuni punti il dettato della legge suona persino lesivo per la dignità delle donne, come, ad esempio, quando si impone che la richiesta della donna sia avvalorata da un documento redatto da un medico, o quando si impone il periodo di riflessione di 7 giorni. Sin dalla sua approvazione, la legge è stata fortemente attaccata, sia cercando di sfruttare alcune sue ambiguità, sia giocando sulla sua applicazione: come denunciato da “Mai dati”, la ricerca condotta da Chiara Lalli e Sonia Montegiove, in molte parti del nostro Paese la legge è ancora mal applicata, o addirittura inapplicata, con una geopardizzazione di quel diritto alla salute che la legge dovrebbe tutelare. Si inseriscono in questa deliberata azione di boicottaggio l’uso strumentale dell’obiezione di coscienza e l’ostilità ad aprire alla metodica farmacologica, in aperta violazione dell’art. 15 della legge.

Alla vigilia del suo XIX congresso dal titolo “Per la vita della democrazia, delle libertà, del diritto, della scienza, delle persone” che si terrà da oggi al 16 ottobre a Modena con possibilità di seguire anche online, l’Associazione Luca Coscioni rinnova il suo impegno per la piena applicazione della legge 194 del 1978. Tuttavia, nel tempo ci si è resi conto che in alcune sue parti la stessa norma mostra criticità importanti, che minano lo stesso diritto alla salute. Ci riferiamo in particolare agli articoli che fissano al novantesimo giorno di amenorrea il limite per l’aborto volontario. Questo limite è stato fissato arbitrariamente, senza alcun riferimento allo sviluppo embriologico.

Eppure, già l’Abortion Act inglese nel 1967, e successivamente la Sentenza Roe vs Wade della Corte suprema americana, nel 1973, facevano riferimento al raggiungimento della “viability”, ossia della possibilità per il feto di vivere al di fuori dell’utero. Secondo la legge 194, entro i primi 90 giorni la valutazione dei rischi per la salute e, nei fatti, la decisione sull’aborto, spetta solo alla donna; dopo questo limite, la valutazione e la decisione spettano invece esclusivamente al medico. Sebbene oggi in Italia la stragrande maggioranza degli aborti volontari sia eseguita entro la decima settimana di gravidanza, una piccola percentuale di donne, arrivano a chiedere l’interruzione volontaria di gravidanza quando questo limite è ormai superato, e non resta loro alcuna alternativa per l’aborto se non quella di recarsi all’estero.

Lo “studio Turnaway” ha chiaramente dimostrato le gravi conseguenze, non solo per la salute, ma anche per gli eventuali altri figli e per le famiglie, degli aborti negati, che costringono le donne a portare avanti gravidanze non volute. Sulla base di queste osservazioni, molti paesi hanno successivamente esteso i limiti per l’aborto volontario: la Francia, ad esempio, è passata dalla dodicesima alla quattordicesima e, nel 2022, alla sedicesima settimana. Dopo il novantesimo giorno, l’aborto è ammesso in situazioni -ad esempio in presenza di patologie fetali- che comportino un grave rischio per la salute fisica o psichica della donna; una volta raggiunta la viability, attorno alla ventiduesima settimana, la legge prevede che il medico che esegue l’aborto debba fare di tutto per “salvaguardare la vita del feto”.

Non potendo preventivamente praticare un feticidio, anche se raccomandato dalle principali società scientifiche internazionali, in Italia nessuno esegue l’aborto “terapeutico” oltre la ventiduesima settimana, per non rischiare di dover rianimare un feto gravemente malato che dovesse nascere vivo. Per le donne che ricevano una diagnosi tardiva di grave patologia fetale e che decidessero di interrompere la gravidanza, dunque, non vi è alternativa che non sia quella di abortire all’estero. Vi è poi il grande problema dell’obiezione di coscienza, ammessa non solo per coloro che partecipano attivamente alla procedura, ma anche per altre figure professionali, compreso il “personale esercente le attività ausiliarie” che, in un’interpretazione restrittiva dell’articolo 9 della legge 194, può estendersi addirittura al personale amministrativo!

L’articolo 8 della legge, invece, stabilisce che l’aborto può essere eseguito solo da medici ginecologi del Servizio sanitario nazionale. Anche in questo caso, molti Paesi si sono mossi per estendere la possibilità di eseguirlo anche ai medici di famiglia e alle ostetriche: in Francia dal 2022 queste ultime possono eseguire, oltre alle interruzioni di gravidanza farmacologiche, anche le chirurgiche del primo trimestre. Solo qualche mese fa il presidente francese Emmanuel Macron ha aperto il semestre francese di presidenza dell’Unione europea chiedendo l’inserimento nella Carta dei principi fondamentali l’interruzione di gravidanza e l’ambiente: “Vent’anni dopo la proclamazione della nostra Carta dei diritti fondamentali desidero che possiamo aggiornarla, in particolare perché sia esplicita sulla protezione dell’ambiente o il riconoscimento del diritto all’aborto”.

Un messaggio chiaro in tema di diritti fondamentali. La paura di possibili peggioramenti ha sempre bloccato qualsiasi ipotesi di modifica del testo. Eppure, una legge che nega il diritto alla salute e che obbliga ad andare all’estero anche una sola donna non è una legge giusta: dal XIX congresso dell’Associazione Luca Coscioni prenderà le mosse un gruppo di lavoro che, oltre ad elaborare proposte di modifica della norma esistente, si occuperà della elaborazione di una proposta di legge alternativa alla 194. Una legge nuova, che possa finalmente intrecciare due diritti fondamentali, quello alla salute e quello all’autodeterminazione.

*Segretario Associazione Luca Coscioni
**Ginecologa, consigliere generale Associazione Luca Coscioni e cofondatrice di AMICA (Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto)

Filomena Gallo, Anna Pompili

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