Adesso tutti sono fautori della transizione ecologica. Quando ti arriva una bolla di calore su buona parte del continente, con punte di temperature che in Andalusia hanno superato i 50°, bisogna essere masochisti per non voler intervenire. E il peggio è che eravamo ancora in primavera, la stagione del clima dolce e delle brezze carezzevoli. Ma stavolta, invece dell’aura gentile che rasserena i poggi, è arrivato il Ghibli, il vento che uccide. Anche quelli del “è sempre stato così pure in passato” e del “non è mica colpa nostra, è l’influsso di qualche Supernova” hanno cominciato ad avere seri dubbi e a convenire che non si può continuare a prendere sottogamba la situazione. Il pianeta è un sistema fortemente correlato. Un esempio? Il caldo intenso predispone a incendi i boschi e, anche quando non si verifica l’improbabile combustione spontanea, trovi sempre qualche delinquente che provvede.

Gli incendi devastano il territorio e rilasciano in pochi giorni o settimane enormi quantità di anidride carbonica che era stata faticosamente assimilata dalle piante nel corso di decenni o di secoli. Producono polveri sottili che avvelenano l’atmosfera e spogliano il terreno esponendolo, in assenza di precipitazioni, ai raggi di un sole impietoso. Il suolo si cuoce e si compatta, così come la crosta del pane isola la mollica porosa. Ma siccome il caldo intenso provoca un’intensa evaporazione dell’acqua, non appena le condizioni atmosferiche cambieranno, la massa evaporata ricadrà a terra, spesso sotto forme di rovesci torrenziali, che ormai siamo soliti definire “bombe d’acqua”. Il suolo, che già in condizioni ordinarie non riuscirebbe ad assorbire una tale mole di pioggia -essendo stato reso impermeabile dalla siccità- sarà assolutamente incapace di svolgere qualunque azione drenante e l’acqua resterà in superficie, allagando i campi. Se poi il terreno interessato dalla bomba d’acqua non sarà perfettamente piano, anziché un lago, si formerà un fiume, o tanti torrenti, che travolgeranno tutto ciò che non è riparato da dighe o terrapieni.

Un quadro ormai familiare di tanti eventi disastrosi che si verificano simultaneamente, o in rapida sequenza. Come i quattro Cavalieri dell’Apocalisse di San Giovanni, che cavalcano fianco a fianco, o come le piaghe d’Egitto che si susseguono una dopo l’altra. E, anche stavolta la catastrofe (climatica) è dovuta ai nostri peccati. I nostri peccati di presunzione e di indifferenza, peccati contro la logica e il buon senso. L’Italia dieci anni fa, diventò un esempio di pratiche virtuose. Nel 2012 superammo gli Usa per la produzione di energia elettrica fotovoltaica, ma la grande spinta propulsiva si esaurì quasi subito. Perché? vi domanderete. I motivi sono tanti, come sempre quando si cerca di cambiare profondamente le cose. Le lobby delle fonti fossili? Sì, certo, anche quelle. La miopia della classe politica? Ça va sans dire. Gli ostacoli e i ritardi nell’installazione e nell’allaccio dei pannelli fotovoltaici? Siamo in Italia, il Paese di Pulcinella e Arlecchino, di Gladio e di Ustica. Nessun lodevole proposito viene preso sul serio, o rimane impunito.

Ma il motivo principale ritengo sia un altro: la pigrizia e il vantaggio immediato. Perché stare in piedi quando si può stare seduti? E perché stare seduti, quando si può stare sdraiati? Che poi, stando sdraiati, non si riesca a correre, poco importa. Un trascurabile effetto collaterale, almeno finché gli eventi non precipitano a causa dell’incapacità a prevenirli. La nostra politica è stata spesso così. Più che seduta, sdraiata. Sdraiata e sonnolenta. A questo si aggiunga la filosofia dell’uovo oggi, piuttosto che la gallina domani e -per restare in tema- la frittata è fatta. Vediamo qual è la prima causa della situazione attuale. Scienziati ed esperti di questioni ambientali concordano che il passaggio alla produzione di energia da fonti rinnovabili è indispensabile e urgente, per mitigare l’effetto serra dovuto ai gas di combustione dei materiali fossili.

Tuttavia una tale transizione richiede tempo e bisogna procedere per gradi. Per prima cosa si dovevano eliminare i combustibili fossili più inquinanti, cioè il carbone e il petrolio, e si decise di puntare sul gas naturale per alimentare le centrali termoelettriche. Una soluzione di compromesso, un male necessario. E così, tra ripensamenti, opposizioni e ritardi, più o meno è stato fatto. Infatti oggi le centrali a carbone in Italia sono solo sette ed erano in corso di dismissione fino all’inizio di quest’anno, quando le avvisaglie della guerra in Ucraina hanno indotto a farle funzionare di nuovo a pieno regime. Le centrali a carbone soddisfano circa il 5% del nostro fabbisogno di energia elettrica. La stragrande maggioranza del rimanente è prodotto appunto con centrali a gas. Il gas infatti è il meno inquinante dei materiali fossili ed è stato giustamente ritenuto il mezzo di transizione più idoneo dalle centrali termiche tradizionali a carbone e ad olio combustibile ad una produzione di energia totalmente rinnovabile. Purtroppo il mezzo che ci avrebbe dovuto traghettare da una sponda all’altra è rimasto in mezzo al guado: ci siamo adagiati sul gas fino al punto da non vedere quanto ci stavamo compromettendo. Quando nel 2016 Putin annettè la Crimea, dipendevamo dal gas russo per il 30% circa. Nel 2022, all’inizio dell’invasione dell’Ucraina, avevamo superato il 40%. È possibile essere così miopi? Era chiaro che sarebbe stata la principale arma di ricatto. Infatti in questo momento le bombe che scaricano sull’Ucraina le stiamo pagando anche noi, nella bolletta della luce, insieme al canone Rai…

E pensare che quando dovevamo finanziare l’installazione dei pannelli fotovoltaici con una piccola percentuale del canone bimestrale, ci lamentavamo. Erano soldi benedetti, eppure ci lamentavamo. Non dei costi esorbitanti della società elettrica per servizi che ormai sono anacronistici, ad esempio la “gestione del contatore” (come se nell’era della telematica il contatore elettronico dovesse essere accudito come un lattante). No, ci lamentavamo di investire sul nostro futuro e sulla sicurezza internazionale. Quindi, che si può fare ora? Non c’è tempo per recuperare il ritardo sulle fonti rinnovabili. Bisognerà farlo, ma ci vorrà almeno un decennio. Quindi, l’alternativa è continuare a pagare le bombe o tagliare la corrente ai lampioni stradali? No, penso ci sia una terza possibilità. Il basso costo dell’elettricità ottenuta bruciando il gas ci ha indotto a trascurare la questione dei consumi energetici. Da una stima effettuata risulta che almeno il 15% dell’energia elettrica potrebbe essere risparmiata razionalizzando tali consumi. Perciò non dovremmo rinunciare al condizionatore durante il passaggio della bolla di calore africana, ma potremmo staccare gli apparecchi che restano in stand by e consumano anche quando sembrano spenti.

È così faticoso spingere un pulsante sul televisore per accenderlo, invece di farlo col telecomando? In Italia abbiamo 3mila aziende classificate come super energivore. Basta un decreto legge che le obblighi a una revisione dei consumi. Converrà anche a loro adesso che il costo dell’energia è triplicato. Il gas russo produce il 20% della nostra energia elettrica. Se riduciamo i consumi del 15% (e aumentiamo di pochissimo l’approvvigionamento da altri Paesi) il gioco è fatto. E può essere fatto in qualche mese, perché si tratta solo di ottimizzare l’esistente e non di costruire il nuovo. Senza dimenticare però che la riduzione degli sprechi energetici funziona solo una volta e per risolvere il problema nel lungo periodo non c’è altra strada che puntare sulle fonti rinnovabili. Perché Putin ti può chiudere il rubinetto del gas, ma non ti può spegnere il sole sulla testa…