È un pezzo della discussione di Granada. È stato tema di dibattito a Bruxelles nelle scorse settimane, a partire dal discorso sullo stato dell’Unione pronunciato il 13 settembre scorso da Ursula von der Leyen in Parlamento. È stato oggetto di proposte ed iniziative da parte di un gruppo significativo di europarlamentari di tutti gli schieramenti, guidati dall’ex premier belga Verhofstadt. È stato anche uno dei temi affrontati nello splendido discorso di Emmanuel Macron agli ambasciatori francesi il 30 agosto scorso.

È il tema dei temi, insomma: parliamo dell’allargamento dell’Unione ai nuovi Stati che ne hanno fatto richiesta e se quindi, in vista di questo passaggio, bisognerà ridisegnare un’Europa a più velocità o se, al contrario, l’assetto istituzionale attuale va bene per gestire un’Unione a 32 o a 35. Parliamo delle richieste di adesione in sospeso di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Moldavia, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia, Turchia (molto poco convinta al momento), Ucraina ma anche di Georgia e Kosovo, al momento candidati potenziali. Parliamo quindi principalmente di Balcani.

Macron fu chiaro: governare “un’Europa a 32 o a 35 non sarà certamente più facile [di oggi], per usare un eufemismo”. Von der Leyen fu assai prudente e su questo punto assai criticata: “Non possiamo e non dobbiamo aspettare che cambino i trattati per proseguire sul percorso dell’allargamento”. Verhofstadt tranchant: “L’allargamento sarà possibile solo se riformeremo il nostro modo di stare insieme: questo lavoro deve iniziare oggi”.

Annusata l’aria, il Presidente del Consiglio europeo Charles Michael, non in grandi rapporti con Ursula, ha rilanciato nei giorni scorsi con forza il tema parlando di “modelli ibridi di adesione”, cioè di percorsi di ingresso di nuovi Stati membri che prevedano una qualche gradualità. “Sono fermamente a favore dell’integrazione graduale”, ha detto il politico belga in un incontro con diversi giornalisti nei giorni scorsi a Bruxelles. Ed ancora: “Ho sostenuto molto questo modello e sono lieto di notare che sempre più leader di partito sostengano questa idea, compresa la Commissione europea”, ha chiuso tirando un po’ per la giacchetta l’altra istituzione europea, dove alcuni dipartimenti, dicono i ben informati, non vedrebbero di buon occhio un’Europa con modelli “ibridi” di adesione.

Proposte più specifiche nella direzione tratteggiate da Michael pare che saranno presentate dalla Commissione nel prossimo semestre, durante la presidenza belga e significativamente poco prima delle elezioni europee di giugno: in tempo, quindi, per diventare uno dei temi delle prossime elezioni europee. Al momento, dicono i ben informati, questo concetto della “gradualità” viene declinato soprattutto sul tema del rispetto dello stato di diritto da parte dei nuovi Paesi aderenti, contenitore nel quale vengono fatti ricadere anche il tema della sicurezza giuridica e della lotta alla corruzione, in modo che le aziende europee possano entrare nei loro mercati con una garanzia di regole certe. L’esperienza fatta dall’Unione nell’adesione di Romania e Bulgaria da un lato, per anni sotto il meccanismo di supervisione, e di Polonia e Ungheria, la prima negli ultimi tempi membro più problematico e la seconda coi fondi congelati proprio sul tema della violazione delle regole dello stato di diritto -, pare essere stata utile.

Sul tavolo non c’è solo questa proposta. C’è la proposta del gruppo guidato da Verhofstadt, che prevede una rivoluzione per le Istituzioni europee con una Commissione disegnata ancor più come un vero e proprio governo che dal Parlamento prende la fiducia, con un Presidente della Commissione che nomina con libertà i commissari, con un Parlamento con maggior poteri ed infine con un Consiglio europeo che non vota più all’unanimità, che quasi sempre è stata utilizzata come grimaldello nelle trattative. E c’è infine la proposta franco-tedesca, elaborata da un gruppo di esperti nominati da Parigi e Berlino, che prevede un’Europa con diversi livelli di adesione e di integrazione, la famosa Europa a più velocità.

Che sia un modello o un altro, pare farsi strada, anche nelle discussioni di ieri a Granada, l’idea che le attuali regole che già sono strette per un’Europa a 27 diventerebbero un nightmare per un’Europa a 32 o a 35. Pare che cresca la consapevolezza che il tutto diventerebbe ingestibile e che i trattati che regolano oggi il funzionamento delle Istituzioni europee vadano fortemente ripensati in quella prospettiva. Una cosa è però ormai certa: questo sarà sicuramente uno dei temi della prossima campagna elettorale.

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva