Il saggio
“Dante e la relazione con l’altro”, la terza via per esistere nella differenza

«I filosofi finora hanno interpretato il mondo in modi diversi, ora si tratta di trasformarlo». Così recita la celeberrima undicesima Tesi su Feuerbach coniata da Karl Marx. Una polarità netta che contrappone due atteggiamenti, una distinzione tra teoria e pratica, tra pensiero e azione, in cui è fin troppo facile schierarsi. Tertium non datur.
Dall’ultimo libro di Filippo La Porta si leva una proposta alternativa, appare all’orizzonte una terza via che sfugge alla limitante dicotomia tra lo sguardo ozioso di chi commenta il naufragio mentre se ne sta al sicuro sulla terraferma e l’intraprendenza militante di chi vuole cambiare il mondo a partire dal suo limitato e limitante punto di vista.
Una terza strada che non aderisce alla tracotanza della conoscenza autarchica, al narcisismo egoista di un sapere astratto fine a stesso. Ma neanche alle seducenti sirene del “fine giustifica i mezzi”, alla prassi militante di chi vuole sempre ricondurre l’alterità a propria immagine e somiglianza, costi quel che costi.
Come un raggio nell’acqua. Dante e la relazione con l’altro (Salerno Editore 2021) non è, come si potrebbe superficialmente concludere, un libro di “critica dantesca”; non si tratta dell’ennesima interpretazione filologica o divulgativa della Commedia pubblicata in occasione dell’anno dantesco. In queste pagine è in gioco una vera e propria “scommessa etica”. Come ammette lo stesso autore nell’Ouverture, in questo libro si “usa” il testo dantesco con un fine etico-filosofico che trascende l’analisi dell’opera del Sommo Poeta. Un’occasione utile per riaprire l’annoso dibattito sull’“uso” lecito o illecito dei classici della letteratura e del pensiero. L’asfissiante specialismo degli esperti ci ha fatto troppo spesso dimenticare che i classici non sono dietro di noi, ma davanti a noi; il messaggio racchiuso in queste opere immortali non è confinato nel passato, ma ci chiama a una scommessa sul futuro. Non si tratta di ricondurre i classici a noi, ma di notare come in quelle pagine si parli di noi, della nostra capacità o incapacità d’istituire relazioni con gli altri e di rapportarci con il mondo.
Il libro, insomma, è dedicato a lettori che vogliono «far interagire i versi danteschi con la propria esperienza morale», a coloro che sono capaci di tradurre i classici in una nuova “postura” che cambia il punto di vista sul domani. Paradise now: l’esperienza di cui parla Dante nella terza cantica è incommensurabilmente lontana dalla nostra, eppure ci chiama a un atteggiamento nuovo, ci parla del “qui e ora”. Canto II del Paradiso. Dante e Beatrice si trovano nel primo cielo e volano in direzione della Luna. L’astro, pur essendo un corpo solido, si lascia miracolosamente attraversare: «per entro sé l’etterna margarita / ne ricevette com’acqua recepe / raggio di luce permanente». Dante e Beatrice penetrano la Luna come un raggio di luce penetra nell’acqua senza scompaginarla. Ecco la “terza via”. Un paradigma alternativo di relazione con l’altro e con il mondo, lontano sia dall’indifferenza sia dalla sopraffazione. Un nuovo rapporto di intimità che non violi l’identità, una relazione di vicinanza che non implichi la profanazione.
Come un raggio di luce attraversa l’acqua senza turbarla, così la nostra sete conoscitiva dovrebbe tener conto del limite invalicabile rappresentato dall’alterità del mondo e dalla diversità degli altri.
“Passività ricettiva” la definisce La Porta. Una passività vigile, un atteggiamento di apertura rispettosa che si lascia “visitare” dalle cose del mondo senza la pretesa di averle a disposizione. Una postura conoscitiva simile a quella del Socrate platonico che si ferma solingo davanti alla casa di Agatone e attende paziente che i pensieri lo raggiungano e lo attraversino. Ne segue un’idea di relazione interpersonale non più basata sul desiderio luciferino di voler conoscere l’altro in tutti i suoi aspetti, di volerne smussarne i difetti e plasmarne le asperità. Ma una sorta di “lontana vicinanza”, di “prossimità distante” che consenta a entrambi i soggetti di esistere nella propria differenza. Un “ideale regolativo” soltanto apparentemente impolitico. Per esplicitarne le implicazioni esistenziali, sociali, politiche ed educative – nel capitolo Dantisti (quasi) involontari – La Porta chiama a raccolta il grande pensiero femminile del ‘900.
Edith Stein, Maria Zambrano, Hannah Arendt, Simone Weil, Susan Sontag: la voce di tante Beatrici novecentesche che ci guidano nel riconoscere che l’ineliminabile “passività” che costituisce la nostra natura non è un tratto meramente tragico della condizione umana, ma un prezioso veicolo conoscitivo, una porta che apre all’intersoggettività. Non è un caso che, come esergo del suo saggio più famoso dal titolo Il problema dell’empatia, la Stein scelga due versi del Paradiso di Dante: «già non attendere’ io tua dimanda, / s’io m’intuassi, come tu t’inmii», cioè, “se io potessi entrare nella tua mente come tu entri nella mia, non avresti bisogno di fare la tua domanda per risponderti”. E nessuna risposta potrà svelarci “il segreto” di un mondo che non è abitato dall’Uomo ma da tanti uomini e tante donne, i cui volti diversi si presentato a noi come alterità inviolabili e inappropriabili. Saremo in grado di essere anche noi “come un raggio nell’acqua”?
Il mondo sembra andare in direzione opposta: ci confrontiamo solo con i nostri simili e viviamo in bolle digitali in cui sentiamo solo l’eco dei nostri pensieri. Spesso siamo pesanti “come un sasso nell’acqua”: smuoviamo le acque sperando di suscitare reazioni a catena, sbracciamo per farci notare, una gara di intolleranza che unisce opinioni bipartisan. Accogliamo l’appello di queste pagine e lasciamoci distrarre dal nostro perenne e indaffarato attivismo: solo se saremo capaci di non turbare la superficie dell’acqua, potremo ascoltare davvero il leggero “brusio del mondo” .
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