Siamo invasi da Dante, nel 700esimo anniversario della morte! Una danteide infinita, proteiforme: erudita e pop, filologica e visionaria, accademica e ludica. Dai videogame alla realtà virtuale, da tomi ponderosi ad agili manuali introduttivi. Non sempre è facile orientarsi e distinguere il grano dall’oglio. Cominciamo con un saggio biografico in testa alle classifiche. Ma prima ancora vorrei suggerire una proposta rispetto al rapporto con i classici. Occorrerebbe sfuggire a due opposte tentazioni: attualizzarli forzosamente o congelarli in una bacheca museale, condannandoli a un venerabile silenzio. Dante o Boccaccio o Machiavelli sono per noi preziosi in quanto distanti, e in parte inafferrabili. Il loro “tempo” riusciamo solo a immaginarlo, come in sogno.

La loro alterità ci permette però di giudicare il mondo presente, di vederlo dal di fuori. Dante è immerso nel Medioevo, nell’idea antimoderna di un universo stabile, orientato a una finalità. Ma nello stesso tempo ci parla del bene e del male, dell’incorreggibile inclinazione a peccare e della responsabilità umana, e invita ogni lettore (non ha scritto la Divina commedia per gli studiosi!), a una trasformazione radicale, ad una diversa visione delle cose, che sfugge a qualsiasi ortodossia religiosa, a qualsiasi liturgia, e che ogni volta ci colpisce per la sua audacia (il grande teologo Romano Guardini osservò che la Divina commedia non è propriamente un poema teologico, ma solo ci parla di fatti e conseguenze).

Il Dante (Laterza) di Alessandro Barbero – quasi una icona mediatica (riunisce Piero Angela, Corrado Augias e lo Sgarbi divulgatore! – è un libro utile, ben scritto e a suo modo “umile”. Essendo un storico – da alcune sue lezioni si può imparare molto (ad esempio sulla Resistenza o sul metodo storiografico degli Annales) l’autore non azzarda nuove interpretazioni né si mette a commentare singoli versi, piuttosto colloca Dante nel suo tempo, seguendone meticolosamente le varie età, dall’infanzia alla maturità e agli ultimi anni (in parte avvolti nel mistero): l’educazione sentimentale, i clan familiari, il quartiere, il matrimonio, gli affari (prima dell’esilio era discretamente agiato, poi perse tutti i suoi beni), l’attività politica (che cominciò a svolgere a partire dai trent’anni, tuttavia alla fine Cacciaguida gli riconosce una sua orgogliosa autonomia, oltre gli schieramenti) le amicizie, l’esilio, gli studi e la biblioteca. Dove si percepisce la prossimità dell’autore alla storia della vita quotidiana dei suoi maestri Bloch e Lefebvre: quando si sofferma sulle occasioni d’incontro tra giovani di sesso diverso nella Firenze duecentesca (rarissime, a parte in chiesa durante una predica o a un pranzo di nozze).

In altri casi Barbero contribuisce a chiarire alcuni equivoci nati da cattiva informazione: Dante si iscrive all’Arte dei Medici (era obbligatorio immatricolarsi in una corporazione per fare politica), soltanto perché quell’arte era un eterogeneo contenitore di professionisti e imprenditori di tutti i generi. L’inizio è epicamente spettacolare, con Dante ripreso durante la battaglia di Campaldino, a cavallo con lancia nelle prime file (tra gli effetti speciali di Spielberg e l’asciuttezza di Olmi). Poi si procede con una accurata ricostruzione di scenari ed episodi biografici (ad esempio il rapporto sempre un po’ problematico con i “signori” che pure lo ospitavano), presupposto di qualsiasi immersione nell’opera dantesca.

Solo una considerazione: dopo aver letto Barbero comincia però il vero “lavoro” del lettore, alle prese con la “attuale”, incandescente inattualità dello scrittore fiorentino. In che senso? Dopo aver preso atto, anche con l’aiuto di Barbero, delle molte contraddizioni di Dante, non ci resta che farle deflagrare, e vedere l’effetto che fa (su di noi): soldato zelante (va in guerra quando la patria lo richiede) e amante della pace (vero obiettivo di ogni politica), consapevole che la nobiltà è interiore (legata alla virtù) ma orgoglioso di discendere da una illustre casata, dotato di un’etica pubblica severa e però impegnato a sistemare la figlia (suora) in un monastero ravennate, cantore di potenti e ammiratore di san Francesco, Romeo di Villanova (un consigliere caduto in disgrazia) e dell’anonimo Rifeo (un “giusto”), fautore della vendetta e convinto che la carità dilati il cuore di chiunque (come il sole con la rosa)…

Fino alla madre delle contraddizioni, tra etica e politica (accettare la realtà o intervenire su di essa per modificarla?): da un lato intende rigenerare l’umanità corrotta – si sente investito da una missione provvidenziale -, combattere gli “sterpi eretici”, riunificare l’Italia, dall’altra accetta la inviolabile, inemendabile diversità di ogni individuo, lo lascia essere quello che è, come l’amico pigro Belacqua, così pigro che in Purgatorio rimanda l’ascesa al Paradiso!. All’inizio del Paradiso lui e Beatrice penetrano la luna – una immagine meravigliosa, quasi fiabesca – senza alterarla. Proprio come un raggio di luce entra nell’acqua senza scompaginarla.