Luigi de Magistris ha annunciato la candidatura alla guida della Calabria. E, ovviamente, ha già dato il via alla campagna elettorale tra dichiarazioni roboanti e frequenti incontri con esponenti politici e della società civile di Cosenza e dintorni. L’ex pm punta a costruirsi un nuovo futuro dopo un decennio da sindaco di Napoli destinato a concludersi con un bilancio tutt’altro che esaltante: disavanzo lievitato dagli 800 milioni del 2011 ai quasi due miliardi e 700 milioni certificati nel rendiconto del 2019, autobus quotidianamente in strada ridotti da 600 a 250, raccolta differenziata ferma al 33% a dispetto della promessa di portarla addirittura oltre il 70. In un contesto diverso da quello napoletano, il responsabile di questo disastro amministrativo sarebbe stato costretto a farsi da parte e a trovarsi un’occupazione diversa da quella del pubblico amministratore. Invece de Magistris non abbandonerà la politica. E per questo deve ringraziare i suoi storici avversari del centrodestra.

Proprio così. All’inizio della sua esperienza alla guida di Palazzo San Giacomo, il “sindaco con la bandana” non esitò a sparare a palle incatenate soprattutto contro Forza Italia e il suo leader Silvio Berlusconi, definito «un buffone», «un gallo sulla munnezza», «un ossessionato dalle manette» che avrebbe meritato addirittura l’esilio. Invece la storia ha voluto che a garantire a Dema i voti necessari per approvare il bilancio in Consiglio comunale siano stati il voto favorevole del berlusconiano Salvatore Guangi e quello di Domenico Palmieri, storicamente vicino al leader di Forza Italia alla Regione Stefano Caldoro.

Proprio quest’ultimo è stato il regista di un’operazione che, a suo dire, sarebbe servita a non privare Napoli di un’amministrazione a pochi mesi dalle elezioni e a impedire che un commissario nominato da Pd e M5S mettesse le mani sul Comune. «De Magistris non è ricandidabile, quindi non gli facciamo alcun favore», aveva chiarito Caldoro. Dal centrodestra, invece, il sindaco ha ricevuto un regalo di quelli preziosi. Se il bilancio non fosse stato approvato, infatti, Palazzo San Giacomo sarebbe stato affidato a un commissario e questo avrebbe segnato la fine politica di de Magistris. Che ora può invece seminare la sua demagogia e il suo populismo in una regione, come la Calabria, che invece avrebbe bisogno di una strategia politico-amministrativa credibile. Chi non potrà beneficiare della mossa del centrodestra sono i napoletani che, in un momento storico reso drammatico dalla pandemia, si trovano con un sindaco “a mezzo servizio”, assorbito dalla campagna elettorale in Calabria nei rari momenti in cui non è impegnato a diffondere il “verbo arancione” in tv o in radio.

Ieri, per esempio, de Magistris è stato a Riace dove ha discusso della propria candidatura col primo cittadino Mimmo Lucano. Ecco perché la richiesta di dimissioni avanzata all’ex pm da alcuni settori del centrodestra – a cominciare dalla Lega – è un atto radicale ma tardivo, oltre che la cifra di una coalizione confusa e – ironia della sorte – destinata a trovarsi contro, in Calabria, quello stesso sindaco al quale ha garantito agibilità politica consentendogli di approvare il bilancio comunale. Sullo sfondo resta Napoli, devastata dal populismo di de Magistris e dall’inconsistenza del centrodestra, ridotta a merce di scambio dalla classe politica peggiore della storia repubblicana.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.