Al Consiglio di Stato ha lavorato fino al 2017; e oggi è lo stesso organo costituzionale a sancire la fine della sua carriera. Per il magistrato barese Francesco Bellomo era una questione di gusti: il dresscode che imponeva alle studentesse della sua scuola “Diritto e scienza” (il cui unico criterio di selezione sembrava essere proprio quello estetico) mirava a far indossare alle giovani ragazze tacchi a spillo e minigonne, per buona pace del direttore del suo Comitato Scientifico.

Nel dicembre 2013 un’email dall’indirizzo ufficiale dell’istituto indicava proprio tali indumenti in una clausola riguardante l’immagine, e la lettere veniva accompagnata da un invito di Bellomo a vestirsi in maniera più elegante possibile. Le indicazioni erano specifiche e non lasciavano spazio a libere interpretazioni: dal trucco agli indumenti, con tanto di dettagli di lunghezza, consistenza e marca dei capi. E c’era anche una sorta di clausola di fedeltà, come ad esempio il divieto di intrattenere relazioni con soggetti dal quoziente intellettivo inferiore a 80.

Le accuse di stalking e violenza privata

E così, prima destituito da Consigliere di Stato per Bellomo si aperto un lungo capitolo. Accusato di stalking e violenza privata, prima è finito gli arresti domiciliari nell’estate del 2019, poi ha ottenuto libertà su concessione del Tribunale del Riesame, nel mentre un processo dal quale è stato assolto, mentre quello disciplinare, andato avanti, è arrivato a conclusione soltanto poche ore fa con la conferma della sentenza del Tar del Lazio che aveva disposto la sua destituzione dalla magistratura.

Questione d’onore professionale, che Bellomo – si legge nella sentenza – ha leso. E proprio il ruolo di Consigliere di Stato è stato per Bellomo “il perno della pretesa di specifici comportamenti da parte delle borsiste”. A distanza di oltre 10 anni, oggi è stata scritta la parola fine sulla sua carriera in magistratura.

Redazione

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