È su una sedia a rotelle, non riesce a fare nulla senza l’aiuto di qualcuno, il suo spazio vitale è piccolo e sporchissimo, vive insieme con un topo. Vive in carcere: se questo è un uomo. La storia arriva dalla casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, arriva quando il premier Giorgia Meloni invoca la costruzione di nuove carceri. Caro premier, provveda anche ad assumere dei ratti… probabilmente servono a rieducare il reo e a far sì che ritorni in società migliore di come è entrato in cella. Giusto? E allora apriamone altre mille di carceri, buttiamoci dentro chi ha commesso un errore e lasciamolo morire tra l’immondizia e i topi.

« Mio figlio ha 38 anni, le costole rotte per una colluttazione che ha avuto in carcere – racconta la mamma del detenuto al Riformista Sta sulla sedia a rotelle e avrebbe bisogno di un piantone ma dal carcere mi hanno detto che nessuno ci vuole andare. Vive da solo in una cella fatiscente. Mentre facevamo la videochiamata mi ha mostrato un topo, un ratto, che stava con lui in cella». Non è vita questa, per nessuno, né per chi vive in libertà in quella che ci ostiniamo a chiamare società civile, né per chi vive ristretto in prigione. Non è vita e lo sa anche il detenuto che vive così, ha tentato il suicidio, preferiva morire piuttosto che vivere così. E solo per miracolo il suo nome non si è aggiunto a quella lista infinita di morti nelle carceri, morti perché vivevano una vita che neanche le bestie. La vicenda del 38enne è nota anche al Garante dei detenuti della regione Campania, Samuele Ciambriello, che da mesi ne segue le evoluzioni.

«Lo abbiamo visitato ripetutamente – ha detto al RiformistaHa dei disagi, disturbi multipli ed è sulla sedia a rotelle. Tempo fa ha avuto un incidente stradale ed è anche stato in coma. Poi in carcere ha riportato la frattura alle costole, una vicenda che ha anche denunciato. In passato ha anche tentato il suicidio. È in isolamento ma dovrebbe stare in un luogo più sereno e curato. Con tutti i disagi che ha, certamente non è autosufficiente. E invece è in una stanza da solo e senza un piantone». Ciambriello racconta che da tempo chiede il trasferimento in un altro carcere fuori dalla Campania. «Voleva fare i corsi dell’Università – continua la mamma – ma non c’è stato nulla da fare. È come se il carcerato fosse l’ultima ruota del carro, qualcosa che può finire in una pattumiera. Chi ha sbagliato deve pagare ma con dignità, non in mezzo all’immondizia e con i topi. Lui sta impazzendo lì dentro».

E stiamo impazzendo anche noi qui fuori che chiediamo pene più severe, nuove carceri, in barba alla Costituzione, ai diritti dell’essere umano, in barba alla ragione prima per la quale esistono le carceri: rieducare e reinserire, non punire e uccidere. Questa è solo l’ennesima situazione infernale che raccontiamo dalle nostre colonne, ma è una voce nel deserto. Nessuno ascolta, sembrano tutti assuefatti, a tutti sembra normale che degli esseri umani vivano stipati in delle celle sporche e con i topi. “Le foto della cella sporca, piena di spazzatura e del ratto sono rimbalzate sui social. Può un detenuto con problemi di salute, che non riesce a pulirsi la cella, senza piantone, essere costretto a convivere con un ratto?” ha scritto Monica Bizaj attivista per i diritti dei detenuti.

“Da Santa Maria Capua Vetere passo e chiudo”. Solo l’altro giorno il ministro della giustizia Carlo Nordio è venuto a visitare il carcere di Poggioreale, si è stupito dei laboratori di pizzeria e falegnameria, l’inferno deve essere diventato invisibile. Caro ministro Nordio, caro premier Meloni, venite nelle carceri e non voltatevi dall’altra parte, certo potrete inciampare in un ratto, ma non voltatevi, perché una società che dimentica gli ultimi è una società che non ha futuro.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.