La relazione annuale a firma del garante regionale per i detenuti Samuele Ciambriello, getta ancora una volta nello sconforto più totale gli operatori del diritto. Sono svariate le preoccupazioni che emergono da quest’ultima relazione: si va dal dato del sovraffollamento (le carceri italiane sono le più sovraffollate d’Europa), dal tasso di suicidi sempre in aumento, fino alla carenza di personale nelle strutture carcerarie addirittura nel Carcere di Poggioreale vi è carenza di agenti di Polizia penitenziaria. Sono dati quelli sciorinati dal Garante che devono allarmare e preoccupare operatori del diritto e non.

Basti pensare che il 30 % dei detenuti ristretti nelle carceri italiane è ancora sub iudice, il 35% con un residuo pena da scontare sotto i 3 anni e che 1/3 dei detenuti è stato condannato per delitti di droga e che 1/4 di costoro è tossicodipendente. Ebbene, non posso non soffermarmi proprio su questi ultimi dati che ad avviso dello scrivente rappresentano alla perfezione il fallimento del sistema giustizia così come regolato. Infatti, analizzando questi dati si evincono due fondamentali criticità: la prima è che qualora si applicasse scrupolosamente il codice di procedura penale, le carceri non patirebbero questo sovraffollamento; in secondo luogo che la maggior parte dei detenuti nelle carceri italiane è imputato di reati in tema di stupefacenti e che, quindi, il continuo inasprimento delle sanzioni in tema di detenzione e spaccio degli stupefacenti, non ha risolto in alcun modo il problema.

Invero è evidente, come vi sia, in contrasto con quanto previsto dal codice di procedura penale, un abuso eccessivo della applicazione della misura cautelare in carcere che, si potrebbe dire, quasi, non essere più extrema ratio bensì la prima scelta sia da parte delle Procure che dei Giudici che le applicano senza batter ciglio. È evidente quindi che più che la riforma del codice di procedura penale e del codice sostanziale sarebbe necessario un approccio culturale diverso rispetto a quello fin ora avuto da parte in particolar modo delle Procure che invocano sempre all’utilizzo delle misure cautelari più stringenti e dei Giudici che ne concedono con troppa leggerezza e facilità l’applicazione.

Altro problema sconfortante è rappresentato dalla presenza di un’elevata percentuale di detenuti con un residuo pena inferiore ai tre anni, probabilmente dovuto non solo a quanto poc’anzi evidenziato ma anche al cattivo anzi pessimo funzionamento del Tribunale di Sorveglianza che, almeno a Napoli, non ha personale a sufficienza per l’enorme mole di lavoro che deve fronteggiare quotidianamente. Infine, il tema della droga e della percentuale di detenuti per reati in materia di stupefacenti o di coloro che ne fanno uso è la dimostrazione del fallimento delle politiche giudiziarie degli ultimi anni che hanno solo aumentato i limiti edittali nel massimo o nel minimo per tali reati, quando probabilmente sarebbe stata necessaria una politica diversa di prevenzione, di ascolto soprattutto in quelle realtà difficili in quei quartieri abbandonati ove, per l’appunto, i cittadini si trovano quale unica scelta di vita la delinquenza e l’abuso di sostanze stupefacenti.

I dati fin qui sciorinati sono solo alcuni di quelli riportati nella relazione del garante che raccontano di una realtà carceraria sempre più degradata, ove quotidianamente vengono violati tutti i diritti costituzionali dei detenuti in carcere. Basti pensare che spesso e volentieri per aver un mero permesso premio un detenuto che si trova in condizioni di ottenerlo potrebbe aspettare anche oltre un anno a causa della mancanza del personale all’interno delle strutture carcerarie e questo al giorno d’oggi, in uno stato di diritto, è inconcepibile.