Un ragazzino di 22 anni, africano, si è ucciso nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Impiccato. Non conosciamo il suo nome e neppure il modo nel quale è riuscito a suicidarsi. Sappiamo solo un paio di cose. La prima è che è il suicidio numero 72 nel corso di quest’anno. È un numero record. Pazzesco. Una media di circa un suicidio ogni 4 giorni. Quasi due a settimana. È un’emergenza assoluta.

La seconda cosa che sappiamo è il motivo per il quale questo ragazzo era stato chiuso in carcere: aveva rubato al supermercato delle cuffiette per lo smartphone. Lo hanno beccato e trascinato il prigione. La polizia ha proceduto all’arresto che deve essere stato autorizzato da un magistrato. A quanto si è saputo, ieri si è tenuta l’udienza di convalida dell’arresto e il giudice si è riservato di prendere una decisione nei prossimi giorni. Noi non sappiamo se il Pm che aveva disposto l’arresto, in sede di udienza di convalida abbia o no chiesto che il ragazzino restasse in prigione. È abbastanza probabile, altrimenti il giudice di fronte a una richiesta unanime di scarcerazione da parte del Pm e dell’avvocato d’ufficio, avrebbe sicuramente disposto la scarcerazione.

Se le cose non fossero andate così, e cioè se il Pm che aveva disposto l’arresto ha poi chiesto la scarcerazione, capendo, seppure con qualche ora di ritardo, la follia della sua decisione, ci troveremo di fronte a una situazione ancora più paradossale: un giudice che di fronte a delle cuffiette rubate, a un ragazzino arrivato dall’Africa e a due richieste convergenti di scarcerazione, dovesse riservarsi , incerto, la decisione, sarebbe un giudice dai criteri di giudizio molto singolari. Avete letto fin qui che toni soft stiamo tenendo? Beh, sono un errore i toni soft. La morte di questo ragazzo grida vendetta al cielo. Chi è stato responsabile del suo arresto per il furto di cuffiette in un supermercato è certamente una persona poco equilibrata.

Esiste tra i lettori nostri o di qualunque altro giornale, qualcuno disposto a dire che se un ragazzino ruba delle cuffiette va messo in prigione? Perché allora a un magistrato è permesso compiere un gesto così assurdo di violenza e di sopraffazione? Aveva ragione Berlusconi quando chiedeva una visita psichiatrica periodica per i magistrati che hanno nelle loro mani un potere così sconfinato e assurdo? Si, aveva ragione. Stavolta, se dio vuole, la notizia ha provocato qualche reazione. Innanzitutto nei giornali, che in genere non sono molto interessati ai suicidi in carcere. Ieri invece le informazioni su questo delitto, seppure molto frammentarie, erano nelle home page di molti giornali on line, a partire dai due principali, Repubblica e il Corriere. E questo ha spinto anche i politici a reagire. Il commento fondamentale riguarda la condizione di sovraffollamento e di fatiscenza in moltissime carceri italiane. Denuncia giusta. Ripetuta nei giorni scorsi dal nuovo ministro e anche dalla nuova premier.

In questo caso però sovraffollamento e fatiscenza non c’entrano niente. I commenti sono sbagliati. Il ragazzo era in prigione solo da due giorni e non si è ucciso per via del sovraffollamento ma perché la sua mente e il suo orgoglio non hanno resistito alla violenza inaudita che una prigione esercita per sua natura sui detenuti. La prigione è un luogo estraneo a ogni idea di civiltà, è una istituzione che demolisce le persone, privandole della libertà, sottoponendole a un potere incontrastabile, annientandone il morale e la reputazione, radendone al suolo il morale e la dignità. Bisogna avere una forza morale eccezionale per resistere a questa infamia, della quale, misteriosamente, la modernità e la civiltà non sono ancora riuscite a liberarsi.

Le prigioni sono un insulto al buonsenso e all’umanità. Sono inutili, dannose, sadiche, servono soltanto ad esagerare il potere di alcune piccole categorie di persone, in particolare i magistrati. Vanno abolite. Ha un senso mantenerne un piccolissimo numero, con pochissimi detenuti, solo per ragioni di sicurezza della comunità. Essenzialmente per assicurarsi che gli assassini, o i violentatori, siano messi in condizioni di non nuocere e di raggiungere dei traguardi di ripensamento e di rieducazione. Basta.

L’idea che costruire nuove carceri – come ha detto tra gli appalusi Giorgia Meloni alla Camera – serva a rendere civili le carceri, è fuori dal mondo. Costruire nuove carceri serve solo a moltiplicare i luoghi di tortura e di affossamento del diritto. Se in Italia ci fossero state cento carceri in più, il ragazzo africano che si è ucciso ieri si sarebbe ucciso lo stesso. E se le nuove carceri fossero servite ad aumentare il numero dei detenuti, sarebbe proporzionalmente aumentato il numero dei suicidi. Dopodiché si pongono due problemi ineludibili.

Il primo riguarda la politica. Senza una formidabile depenalizzazione i problemi della giustizia sono irrisolvibili. Perché? Perchè questo codice penale è profondamente ingiusto e repressivo, e con un codice penale ingiusto la giustizia è condannata. Depenalizzazione vuol dire cancellazione di moltissimi reati e riduzione drastica delle pene. Ci sono reati non violenti, e che non prevedono vittime individuali, puniti con dieci o quindici o vent’anni di prigione. È da pazzi.

Il secondo problema riguarda la magistratura. Se vuole riconquistare il prestigio perduto deve fare moltissime cose. Ma la cosa principale che deve fare è smetterla di arrestare la gente senza ragione. Ricchi e poveri. C’è in giro un magistrato che giurerebbe sul fatto che è stato giusto sbattere il cella quel ragazzo? Non credo. Se c’è si alzi in piedi e lo dica a voce alta. Voglio vederlo in faccia.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.