Se in carcere muore una ragazza di 27 anni così come è morta Donatella, significa che tutto il sistema ha fallito. E io ho fallito, sicuramente…”. Sono queste le parole di Vincenzo Semeraro, giudice di Sorveglianza del Tribunale di Verona, in una lettera letta durante il funerale di Donatella, la 27enne che si è tolta la vita in carcere. Il papà di Donatella ha deciso di incontrarlo. Si sono abbracciati e hanno pianto insieme.

“Io e il giudice piangevamo tutti e due. Ci sentiamo sconfitti e perdenti, ci siamo chiesti perdono. Avevo i brividi, la mia Donatella mi parlava sempre di questo magistrato come di un secondo padre, diceva che era l’unico ad aver preso a cuore la sua situazione. All’inizio nessuno trovava la forza di parlare, solo lacrime”, ha detto il papà, come riportato in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. La storia di Donatella, il 47esimo suicidio in Italia stringe il cuore. Pochi giorni dopo il numero è salito ancora, il 10 agosto se ne contano 49 solo da gennaio.

La lettera del magistrato alla famiglia ha colpito molto. “Conoscevo Donatella dal 2016 – continua la lettera – avevo lavorato con lei e per lei in tante occasioni, ultima delle quali nel marzo scorso, allorché la inviai in comunità a Conegliano. Inutile dire che la sensazione che provo è quella di sgomento e dolore… So che avrei potuto fare di più per lei, non so cosa, ma so che avrei potuto fare di più!”. Il giudice ha chiesto all’amica di “portare le mie condoglianze ai familiari, anche se in questo momento ho pudore, perché è ragionevole che chi era vicino a Donatella possa provare rabbia nei confronti delle istituzioni e di chi, più o meno degnamente, le rappresenta”.

Invece poi c’è stato l’incontro tra i due in un momento di commozione e condivisione del dolore. Due padri che piangono la morte di una figlia. “Ecco, quando ci siamo visti ho proprio voluto dire al magistrato che non deve sentirsi in colpa, perché Donatella mi raccontava sempre l’impegno che lui ci metteva nel seguire la sua vicenda. Questo giudice seguiva il caso di mia figlia con vera dedizione, le faceva visita in carcere, cercava soluzioni. Certe volte ho avuto la sensazione che la seguisse di più lui di me. Lei me lo descriveva come un secondo padre”.

Il papà ha raccontato al Corriere del passato burrascoso di Donatella, quel vortice buio che per lei era la droga. Di tutte quelle volte che la figlia è caduta e con fatica ha cercato di rialzarsi. Il papà era sempre al suo fianco ma non riesce a esimersi dall’avere un grosso senso di colpa in cuor suo: “L’ho detto prima anche al giudice Semeraro: lui non ha fallito perché ha fatto il massimo, sono io che probabilmente ho fallito come genitore. Potevo fare di più? Forse ho sbagliato a rimproverarla quando era scappata dalla comunità? Le avevo parlato in modo rigido perché aveva sbagliato ad allontanarsi da quella struttura, però l’avevo fatto per il suo bene…”.

Il papà non si sarebbe mai aspettato un gesto estremo dalla figlia. “Soltanto Donatella sa cosa ho fatto io per lei negli ultimi dieci anni, volevo a ogni costo aiutarla a uscire dalla dipendenza. L’ho accompagnata dappertutto, anche in vari centri specializzati fuori dall’Italia per guarire dalla droga, tutte strutture private a pagamento, avrei fatto qualsiasi cosa per salvare mia figlia dalla micidiale eroina, ho provato qualunque tentativo”.

Donatella voleva davvero disintossicarsi. Il papà racconta di averla accompagnata in Spagna, Croazia e Belgio, era lei stessa che trovava le cliniche private su internet. “Salvarla era diventata la mia ragione di vita”, continua il papà. E non si dà pace: “Quando lei mi chiedeva una mano non ho mai detto di no, l’ho sempre aiutata per qualsiasi cosa. L’avrei fatto anche stavolta, perché non mi ha cercato? Forse dovevo cercarla io? Io sono sempre stato a sua disposizione per aiutarla. Qualche volta mi faceva arrabbiare, ma io volevo soltanto che Dona stesse bene, lo desideravo più della mia stessa vita”.

Racconta di tutte quelle volte che a notte fonda è sceso per cercarla, di quando la trovava stesa a terra quasi morta per l’eroina assunta e di quella volta che la ritrovò i Spagna in condizioni paurose. Pesava appena 24 chili. Lui, la riportò a casa e la curò senza lasciarla mai da sola finchè non stette meglio. Poi però ci è ricascata di nuovo ma lui non ha mai smesso di esserci per lei. “Ora che l’ho persa per sempre, sento che la mia vita senza Dona non vale più niente, sono io che ho fallito, non il giudice”, dice.

E resta amarissima la sua conclusione e la voglia di giustizia. “Su mia figlia non ho sbagliato solo io. Tutto il sistema ha fallito, e secondo me anche i controlli in carcere non sono stati adeguati. Per questo ho sporto denuncia, mia figlia purtroppo non tornerà però merita verità e giustizia”.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.