Ieri abbiamo presentato “La calda estate nelle carceri”, il rapporto di metà anno sulle condizioni di detenzione in Italia del 2022. Quello del rapporto di metà anno è ormai un appuntamento fisso di Antigone, in cui presentiamo i primi esiti delle nostre visite e un quadro di quanto osservato e del lavoro svolto dall’associazione nel corso dei primi mesi dell’anno.

Quest’anno il rapporto è stato preparato nel corso di giornate rese bollenti dell’ondata di calore che colpisce il paese, ed il pensiero inevitabilmente va a chi, in carcere, non ha modo di difendersi da questo caldo: l’aria condizionata non esiste ed anche i ventilatori in molti posti non ci sono, e dove ci sono li ha solo chi se li può permettere. Ma in carcere il gran caldo mette a nudo molti altri problemi. In alcuni istituti penitenziari l’acqua viene razionata, come ad Augusta, mentre in altri manca del tutto, come a Santa Maria Capua Vetere, un istituto aperto nel 1996 e ad oggi ancora scollegato dalla rete idrica. E anche quando in cella l’acqua c’è, molto spesso non c’è una doccia.

Durante le visite effettuate in 85 istituti penitenziari negli ultimi 12 mesi, dal luglio 2021 al luglio 2022, abbiamo osservato come nel 58% delle carceri visitate c’erano celle senza la doccia, nonostante il regolamento penitenziario del 2000 prevedeva che ci fossero docce in ogni camera di pernottamento entro il 20 settembre 2005. E nel 44,4% degli istituti ci sono celle con schermature alle finestre che limitano il passaggio di aria. In tutto questo ovviamente il sovraffollamento non aiuta. I dati ufficiali parlano di un affollamento medio del 107,7%, ma se si considera che al momento nelle nostre carceri ci sono 3.665 posti non disponibili, perchè inagibili o in ristrutturazione, l’affollamento effettivo medio sale al 112% e sono ben 130, su un totale di 190, le carceri con un tasso di affollamento reale superiore al 100% e, dunque, sovraffollate.

Le cause del sovraffollamento sono molteplici. Nel complesso diminuiscono gli ingressi ma si allungano le pene ed in definitiva i numeri delle presenze continuano a crescere. In tutto questo circa un terzo dei detenuti è in carcere per la violazione della legge sugli stupefacenti, una percentuale doppia rispetto alla media degli altri paesi europei ed è evidente che un intervento (più o meno) ambizioso sulla legislazione sulle droghe avrebbe comunque un impatto significativo sul carcere, provando a spezzare quella spirale di criminalizzazione e marginalizzazione che fa la fortuna delle organizzazioni criminali e scarica su tutti noi i costi di una guerra alla droga feroce solo con i deboli. Diminuisce invece il numero degli stranieri detenuti, nonostante l’aumento degli stranieri nel nostro paese, segno di una lenta “normalizzazione” della presenza di migranti nella nostra società.

E in tutto questo, e non si può non parlarne, cresce il numero dei suicidi in carcere. Nel primo semestre del 2022 si sono tolte la vita all’interno di un istituto di pena 35 persone. A queste si aggiungono altre 3 persone che si sono uccise nel mese di luglio, portando a 38 il numero totale dei suicidi avvenuti in carcere dall’inizio dell’anno. Mai così tanti, neanche negli anni del grande sovraffollamento penitenziario, quando i detenuti erano molti di più. E se si guarda agli istituti dove nel 2022 si sono consumati più suicidi (Roma Regina Coeli, Foggia, Milano San Vittore, Palermo Ucciardone, Monza, Genova Marassi e Pavia), i problemi sono sempre gli stessi: cronico sovraffollamento, elevata percentuale di detenuti stranieri, di tossicodipendenti e di detenuti affetti da patologie psichiatriche, ed una carenza di personale specializzato per farsi carico di queste criticità.

Appaiono insufficienti in particolare il sostegno psicologico e psichiatrico, e generalmente manca del tutto il personale tecnico ed infermieristico che li dovrebbe affiancare. E la gestione del disagio psichico è affidata essenzialmente ai farmaci. Dalle visite di Antigone emerge come il 28% delle persone detenute nelle carceri assume stabilizzatori dell’umore, antipsicotici o antidepressivi, e il 37,5% assume sedativi o ipnotici. Numeri da capogiro, non paragonabili a qualunque contesto libero, che da un parte danno la misura di quanto il carcere faccia male alla salute, ma dall’altra anche della fragilità della popolazione detenuta, e della inadeguatezza della risposta a questa fragilità. In una spirale di disagio e di gestione penitenziaria del disagio che difficilmente può essere interrotta dal fine pena.