Più brave, più studiose e più ambiziose degli uomini, eppure le donne sono ancora considerate lavoratrici di serie B, guadagnano di meno e firmano contratti che non danno il giusto valore alla loro professionalità. Potrebbe, anzi dovrebbe, sembrare la fotografia dei tempi medievali e invece no, parliamo del 2022 e parliamo ancora di quelle differenze di genere che caratterizzano, tristemente, il nostro Paese dove la cultura non sta al passo con le donne e dove ancora si parla di quote rosa, di disuguaglianze e ingiustizie. Secondo l’ultimo rapporto realizzato da AlmaLaurea nel 2020 le donne costituiscono quasi il 60% dei laureati in Italia.

Puntando la lente di ingrandimento sugli atenei della nostra città, all’università Federico II nell’anno accademico appena finito si è laureato il 55,4% di donne contro un 44,6% di uomini. Numeri ancora più elevati se si analizzano i dati dell’università Suor Orsola Benincasa dove la percentuale di donne che si è laureata arriva all’86% mentre quella degli uomini non supera il 13,8%. A livello nazionale, inoltre, è emerso che le donne provengono più frequentemente da contesti familiari meno favoriti e dimostrano migliori performance pre-universitarie (voto medio di diploma 82,5/100 per le donne, 80,2/100 per gli uomini). E ancora, sono sempre le donne ad avere nel loro bagaglio professionale e di crescita personale esperienze di studio all’estero: l’11,6% delle donne ha preso un aereo, contro il 10,9% degli uomini. Hanno maturato anche più esperienza sul campo, il 61,4% delle donne ha svolto un tirocinio, contro il 52,1% degli uomini. Ma non è tutto, le performance universitarie, sia in termini di regolarità negli studi, sia in termini di voto di laurea, sono migliori per le donne (regolarità negli studi per le donne 60,2%, per gli uomini 55,7%; voto medio di laurea, 103,9/110 per le donne rispetto a 102,1/110 per gli uomini).

Dunque, nonostante al termine degli studi universitari, il curriculum delle laureate sia brillante e ricco di esperienze formative importanti per il futuro lavorativo, ancora oggi le loro scelte formative risentono del contesto familiare di provenienza e dei modelli sociali proposti. E ancora oggi il gap tra uomini e donne è evidente quando si conclude il percorso universitario e ci si inserisce in quello lavorativo. Ciò si declina non solo in termini di diverse possibilità di inserimento nel mercato del lavoro ma anche di valorizzazione professionale. Il vantaggio degli uomini, infatti, è confermato innanzitutto in termini di tasso di occupazione e di velocità di inserimento nel mercato del lavoro. In particolare, a cinque anni dal titolo il tasso di occupazione è pari all’86% per le donne e al 92,4% per gli uomini tra i laureati di primo livello. Tra i laureati della Federico II si sono spalancate le porte per il 43,9% degli uomini mentre solo il 38% delle donne è riuscita a trovare un’occupazione.

Più brave ma con più difficoltà a trovare un impiego. Per non parlare della retribuzione. In particolare, a cinque anni dalla laurea, gli uomini percepiscono, in media, circa il 20% in più: tra i laureati di primo livello 1.374 euro per le donne e 1.651 euro per gli uomini. Un uomo che si è laureato alla Federico II guadagnerà in media 1.300 euro al mese, una donna arriverà a stento a guadagnarne 1.000. Il problema più grave non sono gli stipendi, la cultura retrograda con la quale ancora oggi ci troviamo a dover fare i conti. «Il rapporto conferma il primato delle laureate nella formazione e al contempo la loro mortificazione nella condizione occupazionale – commenta Ivano Dionigi, presidente di AlmaLaurea – Questa contraddizione, che testimonia una cultura arretrata della società, priva le donne di un loro diritto e il Paese di quel che di più specifico esse possono apportare. Politica, impresa e università hanno il dovere di invertire questa rotta e colmare questo divario».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.