Che si possa immaginare un semipresidenzialismo “de facto” con Mario Draghi al Quirinale e Daniele Franco a Palazzo Chigi oppure con l’elezione, addirittura a termine, di un nuovo Presidente della Repubblica in attesa di cedere il posto in seguito a Draghi con la conseguente chiamata di Franco alla Presidenza del consiglio sono ipotesi che possono essere formulate solo da chi ritiene che norme, procedure, democrazia siano carte di un “monopoli” che si possono scambiare a piacimento, senza neppure riflettere molto sulle transazioni previste dal gioco, magari di questo passo arrivando a considerare i procedimenti elettorali dei ludi cartacei di tragica memoria. Ma soprattutto non ci si avvede che, in questo modo, si manca del dovuto rispetto istituzionale a entrambi gli esponenti e, soprattutto, a Franco perché considerato, in quanto presunto fedelissimo di Draghi, colui al quale quest’ultimo vorrebbe , dall’alto del Colle, che fosse affidata la Presidenza del consiglio perché considerato idoneo a concretare le linee politiche dell’attuale Premier, dando così attuazione, come se fosse un “missus”, al semipresidenzialismo “de facto” del quale si parla. Ma si manca pure di rispetto nei confronti del capo dello Stato ancora pienamente, efficacemente ed autorevolmente in carica.

Mai una iniziativa è finita, come la proposta in questione, con il bersagliare, non volendolo affatto, coloro che, invece, riteneva di valorizzare. Il fatto è che, pur permanendo alcuni problemi straordinari a cominciare dalla inedita virulenza della pandemia, sarebbe ora che ci si abituasse a ragionare non più in termini di “stato di eccezione” prevedendo il ritorno ai fisiologici meccanismi della democrazia rappresentativa. Del resto, c’è qualcuno che può immaginare che Einaudi o Ciampi – spesso evocati per un tuttavia improprio raffronto con Draghi – saliti al Colle, avrebbero voluto come Presidente del Consiglio il Direttore generale “pro tempore” o l’ex Direttore generale della Banca d’Italia? E lo avrebbero voluto perché in questo modo sarebbero passate più facilmente le politiche che loro volevano, decampando così nei poteri dell’Esecutivo? Non scherziamo. A Einaudi l’unica “garanzia” che fu offerta riguardò una leggina, della quale tuttavia non si avvalse, in base alla quale fino a quando il Governatore della Banca d’Italia ricopre incarichi di governo è sostituito dal Direttore generale; non decade, dunque, e, al termine del mandato, può ritornare al vertice dell’Istituto. E’ una leggina che si dovrebbe considerare tuttora vigente, benché già veda chi potrebbe sostenere che potrebbe esservi contrasto con le norme che regolano il Sistema europeo di banche centrali. In ogni caso, come accennato, Einaudi non utilizzò la previsione in questione anche perché, nel frattempo, fu eletto Presidente della Repubblica. Ciampi, quando fu chiamato dal Presidente della Repubblica Scalfaro a presiedere il Governo nel 1993, si dimise da Governatore.

Il Presidente della Repubblica, nell’assetto costituzionale vigente, deve essere “ super partes”, organo di garanzia di ultima istanza, suprema magistratura dello Stato. Ma, ammesso pure e tuttavia non concesso che si possa fare riferimento a precedenti che avrebbero visto Capi dello Stato “guidare il convoglio”, trattandosi piuttosto di singoli interventi, a volte in situazioni di emergenza, ma non certo una forma di semipresidenzialismo “de facto”, per usare l’espressione di Giorgetti, nel caso in questione si tratterebbe di una innovazione attuata attraverso uno specifico esponente, Franco, senza nemmeno dichiararlo apertamente secondo queste sbalestrate elucubrazioni. Sussistono problemi economici e sociali rilevanti, che si uniscono a quello, preminente, della nuova virulenza della pandemia. Non è stata ancora presentata in Parlamento la proposta di legge di bilancio. Il disegno di legge sulla concorrenza presta il fianco a serie critiche da diversi punti di vista; è avviata la discussione sulla riforma del Patto di stabilità e crescita; è in corso l’attuazione, da monitorare attentamente e sulla quale bisognerà fornire un’ampia informazione insieme con la costante “accountability”, del Piano di ripresa e resilienza; la questione-lavoro diventa ancora più acuta, insieme con la crescita e le diverse forme di transizione. Sono, queste, le sfide da cogliere, piuttosto che immaginare meccanismi che non sono di certo rispondenti alle norme della Costituzione e continuano a essere incentrate sulla insostituibilità di un uomo, mostrando così la debolezza della nostra classe politica: cosa che non fa bene, anche per le ripercussioni internazionali. Finora può avere avuto un ruolo la credibilità di Draghi, anche se si è visto che, all’occorrenza, la Commissione Ue non ha mancato di criticare il Governo per l’inadeguatezza della proposta di legge sulla concorrenza. Alla lunga, sapere che un Paese è legato al ruolo di una sola persona non è proprio la migliore delle condizioni per infondere grande e perdurante fiducia e orientare le aspettative. E’ a tutto ciò che bisognerebbe pensare, agendo di conseguenza, piuttosto che immaginare scelte costituzionali e istituzionali che si dovrebbero realizzare anche per interposta persona benché non allineate alla Carta fondamentale.